“Contro la guerra, 7 designer per Emergency”: la ong porta in mostra a Milano progetti di pace e disobbedienza civile

La giustizia può passare per un proiettile? Si possono perseguire fini edificanti con mezzi cruenti? Gli atti ordinari non hanno forse un valore trasformativo? Inviare lettere di amore, parlare con un “avversario”, custodire le relazioni tra persone e società possono rendere obsoleti fili spinati e muri di separazione? Come rimettere in connessione ciò che è stato separato, ricucendo le ferite, le cesure della storia e delle nostre vite?
Sono le domande da cui parte la mostra organizzata dalla ong Emergency alla Triennale, in occasione della Milano Design Week. Una riflessione necessaria che interroga il senso stesso del vivere insieme, in un tempo in cui la guerra sembra essere tornata ovunque. Non solo come fatto geopolitico, ma come linguaggio, ideologia e forma del pensiero. E allora Emergency – che da sempre cura le vittime dei conflitti, restituendo dignità là dove regna il conflitto – propone un gesto diverso e controcorrente. Un’esposizione che è dichiaratamente contro la guerra, pensata come un coro di voci che, attraverso gli oggetti, immaginano un’alternativa possibile. Perché se la guerra demolisce, la pace si costruisce. Pezzo dopo pezzo, progetto dopo progetto.
Insieme al designer Giulio Iacchetti, curatore della mostra, sette progettisti italiani – Riccardo Blumer, Sara Bozzini, Lorenzo Damiani, Marco Ferreri, lo stesso Iacchetti, Donata Paruccini e Paolo Ulian – sono stati chiamati a immaginare opere nuove capaci di parlare a tutti. Un dialogo tra forme e significati, tra azioni minime e grandi simboli, dove ogni creazione porta con sé una domanda urgente sul nostro tempo. “Le guerre si fanno con le armi. E le armi sono pensate, disegnate, progettate e perfezionate da designer e ingegneri”, spiega Giulio Iacchetti. “Ecco perché chi progetta non può chiamarsi fuori. Parte della nostra comunità è coinvolta nella costruzione della guerra: per questo abbiamo il dovere di schierarci”. Un’assunzione di responsabilità, che si traduce in un progetto collettivo: “Questi oggetti sono piccoli atti di disobbedienza civile. Sono sette progetti, sette voci, che si oppongono alla retorica della guerra come male necessario. Sono un invito al dubbio, alla resistenza, alla pace”.
“Sembra che oggi la guerra sia diventata inevitabile, una conseguenza naturale delle cose. Secondo noi di Emergency, invece, è evitabile. Serve per un cambio di pensiero, un altro sguardo”, spiega Simonetta Gola, direttrice della comunicazione di Emergency. “Con la mostra abbiamo voluto dire proprio questo: cominciare a immaginare un altro modo di stare al mondo, attraverso piccoli gesti, piccoli segni. In una settimana in cui si celebra il design, abbiamo scelto di progettare messaggi di pace. Perché la pace, come la guerra, è frutto di una scelta. Non accade da sola”.
A dare il benvenuto è l’opera “Una T-shirt” disegnata da Lorenzo Damiani, simbolo semplice ma potentissimo: il logo di Emergency è ricamato a mano con tessuti provenienti da Afghanistan, Sudan, Palestina, Ucraina – terre segnate dai conflitti in cui l’Associazione opera da anni – uniti a un lembo di jeans, come ponte con il mondo occidentale. Mentre l’altra è cucita con un film di poliestere tratto da una coperta isotermica da primo soccorso, la maglietta diventa bandiera, oggetto da indossare, messaggio da portare. Per ricordare che la “cura è un diritto di tutti, ma prima ancora un dovere umano” come diceva Gino Strada. È invece orizzontale, e non più verticale, la preghiera proposta da “C’ero” di Sara Bozzini: una candela che non guarda il cielo, ma illumina chi ci sta accanto. È un invito a cambiare direzione allo sguardo, a cercare risposte non dall’alto ma nella relazione con gli altri, nella presenza, nell’impegno collettivo. Perché forse è lì, nella prossimità, che si genera davvero la pace.
Riccardo Blumer costruisce invece “Custodie per disinnesco”: guanti ambidestri, da indossare in due, per disinnescare i conflitti con il solo contatto delle mani. Un progetto vivo, in divenire: durante tutta la mostra, volontari e volontarie intrecciano a mano fili di lana, creando ogni giorno nuovi guanti, in un laboratorio tessile che è anche rito collettivo. Giulio Iacchetti oltre che curare la mostra propone anche “Lettere dal fronte”: una doppia scrivania, per sedersi e scrivere a qualcuno, anche – o soprattutto – a chi sta “dall’altra parte della barricata”. Un invito a riaprire il dialogo, chiedere scusa, dire grazie. Le lettere raccolte verranno imbucate e spedite davvero. Perché “le parole, come i progetti, possono ricucire ci che è stato separato” come spiega Iacchetti.
Donata Paruccini invece ci mette davanti a “Bersagliati”, un bersaglio che è anche specchio. Guardandoci dentro, capiamo che siamo noi il centro. È un oggetto che riflette la nostra immagine, proprio nel punto in cui “bisognerebbe colpire”. E ci chiede: chi è davvero il nemico? Una riflessione dura e necessaria sull’identità, sull’altro, sulla facilità con cui si creano nemici immaginari. Con “Ti amo”, Marco Ferreri ribalta uno degli slogan più paradossali e ricorrenti della guerra: “uccido per amore”. Per amore della patria, di Dio, della terra, di qualcuno. Due proiettili si avvicinano, ma invece di distruggere, si sfiorano. Un’immagine potente, che restituisce al linguaggio dell’amore la sua radicalità: “Amare è creare, non distruggere”. Chiude il percorso “Muro di poesie” di Paolo Ulian: una parete costruita solo con fogli A4, ciascuno stampato con una poesia. I visitatori possono prenderli e portarli via. Alla fine della settimana il muro scomparirà, abbattuto dalla bellezza. Non servirà forza, solo mani gentili. “Una metafora visibile di quanto i muri siano fragili, se ci ostiniamo a vedere l’altro come un essere umano”.
“Questi progetti parlano tutti, in modi diversi, di connessione”, continua Gola. “C’è il guanto da indossare in due, la lettera da spedire, la t-shirt da portare addosso, un muro da abbattere insieme. Sono opere che toccano qualcosa di profondamente umano, che ci ricordano quanto sia importante mantenere viva la relazione con l’altro, anche – e soprattutto – quando è difficile. La pace si costruisce custodendo le relazioni. E in questo senso ogni gesto, anche il più semplice, può diventare rivoluzionario”. “Il design è una pratica concreta”, conclude Gola, “ma pu anche essere simbolica. E oggi abbiamo bisogno di simboli nuovi. Questa mostra è un esercizio di immaginazione collettiva. Una piccola prova di futuro, in cui ognuno può trovare il suo modo per dire: ‘io non ci sto’. Contro la guerra, per la pace, ma soprattutto per la dignità di tutti.”
La mostra è visitabile gratuitamente dal 7 al 13 aprile dalle ore 10.30 alle ore 21 alla Triennale di Milano. Ilfattoquotidiano.it ha deciso di sostenere la campagna di Emergency R1PUD1A con una serie di articoli dedicati alle iniziative e al lavoro dell’ong. A questo link puoi unirti alla campagna R1PUD1A di Emergency contro la guerra.
*Foto di Davide Preti
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