Il mondo FQ

Adolescence e i femminicidi di questi giorni: una riflessione su fragilità e ruolo delle famiglie

Cosa c’è che ancora sfugge sul comportamento di questi uomini che sembrano fragili, cosa scatta nella loro mente e che responsabilità hanno le famiglie?
Commenti

In questi giorni, come molti di voi, ho visto la miniserie di Netflix Adolescence. Già è stato detto e scritto molto sul successo della serie e sulla trama. Ne torno a parlare perché ci sono tanti punti interrogativi che si intrecciano con la nostra realtà. In queste ore si sono svolti i funerali di Sara Campanella, studentessa di 22 anni uccisa a Messina dal suo stalker, Stefano Argentino, il quale l’ha aspettata all’uscita dell’università, l’ha seguita e poi l’ha colpita con un coltello cinque volte fra il collo e la schiena. La mamma di Argentino ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee per giustificare l’aiuto che i genitori hanno dato al giovane assassino dopo il delitto. Lui ha immediatamente chiamato a casa e mamma e papà sono andati a prenderlo a Messina e lo hanno portato a Noto, sua città d’origine, facendolo sistemare nel b&b della mamma che in quel momento era vuoto.

La donna si è difesa spiegando che temeva per la vita di suo figlio, il quale aveva minacciato di suicidarsi. Ma i fatti raccontano di un giovane che ha provato a nascondersi non ad uccidersi. Ad ogni modo le indagini faranno luce anche su questo aspetto.

Nel caso del femminicidio di Ilaria Sula, invece, la madre di Marc Samson, l’assassino, si sarebbe spinta oltre, aiutando il figlio a ripulire l’appartamento di 50 metri quadri in cui è avvenuto il delitto. Impossibile pensare che nessuno in quella casa abbia sentito nulla. Impossibile non notare il sangue, i segni dell’orrore che si è consumato nella cameretta dello studente universitario. Gli inquirenti chiariranno modalità e ruoli, i contorni della vicenda non sono ancora del tutto noti.

Ma abbiamo due storie diverse, avvenute in contesti, culture e situazioni differenti. Argentino non era neppure fidazato con Sara, ne era invaghito al punto tale da uccidere pur di rinunciare a quello che voleva. L’altra, invece, è la storia di chi non ha accettato la fine della relazione. La morte di queste due giovani donne ha provocato sdegno e rabbia in tutto il paese. Però, tornando alla serie, cosa c’è che ancora sfugge sul comportamento di questi uomini che sembrano fragili, i quali non riescono a metabolizzare un no o l’abbandono, cosa scatta nella loro mente e che responsabilità hanno le famiglie?

È una domanda difficile su cui certamente non c’è una risposta netta ma su cui bisogna cominciare a indagare. Nella serie televisiva i genitori hanno sperato nell’innocenza di Jaime Miller, anche dopo che il padre ha visto le immagini della sera dell’aggressione e quel soggetto vestito come suo figlio che accoltellava la vittima. Era così incredibile per essere vero… La trama del film è più complessa, i genitori a un certo punto si interrogano su cosa hanno sbagliato; quel bambino con la faccia d’angelo che si trasforma in un assassino e affronta la psicologa in carcere con spavalderia. Come è possibile? Fuori tutto lo additano come un assassino e prendono di mira anche la famiglia.

E poi ci sono dinamiche e termini nuovi, come Incel e le teorie misogine che si sono manifestate anche nel nostro Paese dopo la morte di Ilaria e Sara, come se fosse stata colpa loro. Nella serie non è chiaro se c’è stata o meno una “colpa”, il film lascia molte domande aperte, anche sulla vittima stessa. E allo stesso modo, forse, dovremmo approcciarci a questi casi di cronaca, con le stesse domande aperte, per affrontare quel che succede nelle famiglie, il senso di protezione delle madri, la reazione immediata di alcuni genitori che tendono a minimizzare delle volte. In alcuni casi può esserci un senso di colpa così profondo da parte dei genitori che porta addirittura a diventare complici, con ricostruzioni fantasiose.

Prima del triste finale in queste storie ci sono ragazzi normali, come Jemie, fragili, fisicamente e psicologicamente, magari chiusi nella loro cameretta o nel loro microcosmo, con i pochi amici, e un mondo che non li comprende. Si parla tanto di prevenzione ma per prevenire bisognerebbe abbandonare ogni idea precostituita e guardare a una nuova realtà di cui ancora nessuno sembra sapere nulla. Ci sono tante zone d’ombra, posti della mente inaccessibili, per cui non servono reazioni di pancia o risposte semplici. Non basta gridare ergastolo per fermare il sangue.

Resta in contatto con la community de Il Fatto Quotidiano

L'amato strillone del Fatto

I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.