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Ne ‘I campi di patate fanno le onde’ le montagne tra Piemonte e Liguria si fanno scrigno di sentimenti

Omaggio prezioso a comunità cresciute per secoli intorno agli orti, ai campi di patate, dialogando con le stagioni e con la terra
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Terra di confine, di opposti e di resistenza: questo è l’alta Val Tanaro, luogo apparentemente decentrato ma in realtà al centro di se stesso, come tutti quelli che conservano un’anima e il senso della comunità, che diventano “glocal”, locali e globali insieme. Nel romanzo di Graziella Belli I campi di patate fanno le onde, appena uscito da Fusta editore, le montagne tra Piemonte e Liguria si fanno scrigno di sentimenti, cassaforte di roccia, di boschi e metallo – l’umile e appartata Ormea è capolinea di un ramo delle ferrovie che arrivano dal Piemonte e delle corriere provenienti dalla Liguria – per proteggere la memoria degli abitanti, da sempre classi subordinate, e delle loro montagne, frontiera e valico per i migranti.

Il romanzo è un viaggio storico e rupestre, ma anche politico. Reinventa fatti veri, avvenuti negli anni tragici tra l’estate del 1939 e il 27 aprile 1945 (a Ormea la pace giunse due giorni dopo il 25 aprile), raccontando di due ragazzini, Giusto e Lorenzo, che passano dall’infanzia all’adolescenza in tempo di guerra. Corse nei prati e risate tra i vicoli, biciclette abbandonate sull’orlo dei fossi e frutta rubata sugli alberi, giochi e spensieratezza evaporeranno tra bombe e soldati.

La narrazione tocca Ceva e scende a Pieve di Teco e Alassio, perché l’ultimo centro piemontese prima della Liguria è proteso verso le pianure e il mare, verso Cuneo e Imperia. L’eco feroce e lontana, smorzata dalle montagne, diventerà rombo, come il motore della colonna di armati che si avvicina “dal fondo dei faggi” nella canzone di Ivano Fossati. Poi saranno fame e camicie nere, Lorenzo sceglierà il fucile, Giusto rimarrà con le sue galline a lavorare la terra, a fare i conti con tutto ciò che le armi portano via e non restituiscono.

Farebbero bene a pensarci, le “vedove di guerra” europeiste che oggi corrono al riarmo giocando con il fuoco e l’atomica, sulla pelle dei semplici e della popolazione, tagliando le nostre radici, che l’autrice mostra saggiamente di voler conservare: scova personaggi, luoghi e vicende in una personale boîte à mémoires, li segue, nell’antico paese dell’Alta Val Tanaro, con affetto ed esattezza, impastando azione, sentimenti e linguaggio (piemontese e ligure) con virtù desuete che parlano di sobrietà, collaborazione, pudore. Omaggio prezioso a comunità cresciute per secoli intorno agli orti, ai campi di patate, dialogando con le stagioni e con la terra.

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