Contrastare la nuova Trumponomics è un buon allenamento per il futuro: è ora che l’Ue apra gli occhi

Tutti quanti siamo rimasti sorpresi dalle drastiche decisioni tariffarie di Trump. Ma più di tutti sono stati scioccati i conservatori repubblicani, che non pensavano che le nuvolette sui dazi intraviste nella campagna elettorale si potessero trasformare nell’uragano di adesso.
Per cercare di capire la muova linea presidenziale ho ripreso dallo scaffale un libro scritto da due suoi consiglieri economici, Stephen Moore e Arthur Laffer. Laffer, già consigliere di Reagan, è proprio il divulgatore della relazione tra gettito fiscale e aliquota che porta il suo nome, uno dei cavalli di battaglia dei conservatori di tutto il mondo. Il titolo del libro del 2018 è Trumponomics e come sottotitolo riporta Inside the America First Plan to Revive Our Economy. Non si tratta di un’opera accademica e nemmeno di un saggio giornalistico. I due economisti ci parlano dei loro continui dialoghi con Trump sulle materie economiche nei numerosi incontri avuti. Diciamo che è una preziosa fonte di prima mano della Trumponomics.
I pilastri della nuova economia della destra sovranista americana sono elencati con precisione: meno regole per le imprese, meno tasse, meno welfare, meno stato nell’istruzione, più materie prime e altro. Insomma il disegno generale è quello di un ritorno a un capitalismo ottocentesco selvaggio e violento dove si impone il più forte o il più furbo. C’è anche un riferimento nell’ultimo capitolo, ed è quello che ci interessa, alle tariffe doganali.
Qui però la musica suona differente. Mentre i due economisti sono d’accordo con Trump su tutti gli altri punti, o meglio Trump è d’accordo con loro, qui le strade si divaricano completamente. Trump è da sempre favorevole ai dazi doganali, mentre i due economisti conservatori sono del tutto contrari in base al ben noto principio che i dazi sono delle tasse che riducono il libero scambio, il motore del progresso economico.
La diversità di opinioni deriva dal fatto che mentre gli economisti guardano al contesto generale, cioè l’economia-mondo, Trump – come loro evidenziano – è solo un affarista e punta a portare a casa il massimo risultato utile per gli Usa. I due economisti “strongly disagree”, cioè erano del tutto contrari perché l’introduzione delle tariffe avrebbe avuto conseguenze pesantemente negative per l’economia.
Inoltre candidamente osservano che secondo Trump è conveniente imporre delle tariffe, perché gli altri partner commerciali sarebbero danneggiati più dell’economia americana. Un cinico calcolo commerciale dunque.
Nel 2018 l’idea di Trump era che la guerra commerciale fosse “winnable”, cioè destinata alla vittoria. Poi sappiamo come è andata a finire nella prima Amministrazione Trump. I dazi sono aumentati, alcuni sono stati introdotti e poi tolti a seconda delle contingenze politiche. Non hanno funzionato. I dazi medi sulla Cina sono stati portati dal 3% a quasi il 20% ma il deficit si è ridotto di pochissimo.
Interessante poi è il fatto che secondo i due economisti Trump non è contrario al libero commercio ma vuole che sia equo. Equità per Trump significa che il bilancio commerciale deve essere in pareggio. In economia l’equità conta poco, ma in questo caso ancora di meno. Il pareggio di bilancio o il disavanzo non hanno nulla a che fare con l’equità ma semmai con l’efficienza. Questo è il nocciolo della visione rudimentale e rapacemente affaristica di Trump.
Ma l’equità non riguarda il risultato finale, quanto piuttosto il rispetto delle regole e le eguali condizioni di partenza. Una partita di calcio può finire 4 a 1 e il risultato essere equo purché le regole del gioco siano rispettate. Semplicemente una squadra è stata molto più brava dell’altra.
Richiamando l’ossessione della cerchia di Trump per la minaccia cinese, può essere che gli scambi con la Cina non siano equi, date le caratteristiche del mercato del lavoro e gli aiuti statali del paese asiatico, ma di sicuro questo argomento non vale per l’economia europea. Per esempio, sostenere come fa la cerchia di Trump che l’Iva europea è una tassa sui prodotti americani è una sciocchezza grossolana e in piena malafede. Semplicemente un pretesto per una calcolata aggressione commerciale.
Nel suo secondo e ultimo mandato Trump ha alzato follemente la posta in gioco nella speranza di ottenere sostanziose concessioni commerciali (quali?). Ora la Cina ha già risposto e anche l’Europa. Nel rispondere però sarebbe interessante seguire la formula magica di Trump per calcolare l’aliquota di ritorsione. È vero che la Ue ha un corposo surplus commerciale, ma ha anche un vistoso disavanzo nei servizi. Usando la formula di Trump la tariffa reciproca dell’Europa sui servizi sarebbe del 33%. Poi siccome non siamo generosi come Trump, potremmo anche applicarla per intero. Pazienza se l’abbonamento a Netflix mi costerà qualche euro in più. Questa spesa andrà per una buona causa.
Colpire la finanza e la tecnologia Usa che ora dominano la scena internazionale, non si sa fino a quando, potrebbe essere una buona risposta alla guerra commerciale di Trump, che scoprirà da solo che non è così winnable come pensa. È ora che la Ue apra gli occhi, perché se la minaccia di Trump è chiassosa e in definitiva non così difficile da contrastare, non così quella delle due super potenze asiatiche, Cina e fra un po’ India. Contrastare la nuova Trumponomics è un buon allenamento.
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