In Siria, oltre un decennio dopo, il contro-massacro di Banias: a farne le spese, civili alauiti

Nel marzo del 2011 la città di Banias, situata lungo la costa della Siria, fu tra le prime a sollevarsi contro il governo di Bashar al-Assad: le forze di sicurezza uccisero almeno 200 manifestanti.
Nella primavera del 2013, nella stessa città e nei villaggi circostanti, vennero uccisi altri 250 civili. Molti abitanti vennero presi casa per casa, senza risparmiare donne e bambini, allineati e poi passati per le armi. Altri vennero uccisi all’interno delle abitazioni, molte delle quali vennero poi saccheggiate e date alle fiamme.
Un mese fa c’è stato il contro-massacro: centinaia di civili uccisi con modalità simili e per gli stessi motivi: l’appartenenza a un’altra religione. Prima dell’uccisione, la consueta domanda: “Di che gruppo sei?”.
Se nello scorso decennio erano state le forze di sicurezza a maggioranza alauita a uccidere manifestanti sunniti, questa volta sono state milizie sunnite a uccidere civili alauiti.
Il 6 marzo gruppi armati affiliati al precedente governo di Bashar al-Assad hanno lanciato una serie di attacchi contro postazioni militari e di sicurezza nei governatorati di Latakia e Tartus. I ministri della Difesa e dell’Interno, sostenuti da milizie loro affiliate, hanno ordinato una controffensiva che ha contribuito all’aumento della violenza. L’8 marzo le autorità hanno annunciato di aver ripreso il controllo della situazione.
Nei giorni successivi, le milizie filogovernative hanno attaccato i civili alauiti nei villaggi e nelle città lungo la costa. La Rete siriana per i diritti umani ha documentato l’uccisione di 420 tra civili (compresi 39 bambini) e uomini armati, questi ultimi dopo che erano stati messi fuori combattimento, per lo più ad opera di milizie affiliate alle autorità.
Le Nazioni Unite sono state in grado di documentare l’uccisione di 111 civili nei governatorati di Latakia, Tartus e Hama. Secondo l’ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani, in molti di questi casi si è trattato di “esecuzioni sommarie compiute per motivi settari da uomini armati non identificati, da membri di gruppi armati che agivano per conto delle forze di sicurezza e da elementi associati al precedente governo”.
Amnesty International, sulla base di interviste a testimoni e analisi di video e fotografie, è arrivata a ricostruirne in dettaglio un centinaio nella città di Banias, 30 delle quali nel quartiere di al-Qusour.
Quattro abitanti del quartiere hanno raccontato di aver udito, il 7 marzo, intensi colpi d’arma da fuoco. Il giorno dopo numerosi miliziani sono entrati nel quartiere e sono iniziate le uccisioni, proseguite anche l’8 e il 9 marzo.
Intorno alle 10 del 9 marzo un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione nell’abitazione di Samira (nome di fantasia), sparando alla testa del marito. Prima che questi venisse ucciso, uno dei miliziani ha chiesto ai coniugi se fossero alauiti, accusando la minoranza della morte di suo fratello: L’ho pregato di non prendere mio marito, ho provato a spiegargli che non avevamo niente a che fare con le uccisioni del passato né con quella di suo fratello. Quando sono andati via, sono salita sul tetto e ho visto il cadavere. Samira ha dichiarato che, oltre a suo marito, sono stati uccisi il marito di una vicina, che aveva oltre 70 anni, e il cognato di quest’ultimo.
Alle 11 dell’8 marzo Ahmad (nome di fantasia) ha saputo da un parente che uomini armati erano entrati nella sua abitazione e avevano ucciso il padre, di oltre 60 anni: Mia madre mi ha raccontato che quattro uomini armati sono entrati in casa e hanno chiesto se eravamo alauiti. Hanno ordinato a mio padre di girarsi di spalle, uno di loro gli ha sparato e il proiettile è fuoriuscito dal petto. Venti minuti dopo sono tornati e hanno portato via il corpo.
Ahmad ha riferito che un altro parente si è recato all’ospedale, pieno di uomini armati, per cercare tra i cadaveri il corpo di suo padre. Un medico ha confermato ad Amnesty International che i miliziani, gli addetti ai primi soccorsi e le squadre di difesa civile avevano portato decine di cadaveri, tenuti all’interno dell’ospedale, molti dei quali impilati fuori dalle celle frigorifere e che i loro familiari li esaminavano alla ricerca dei loro cari.
Saed (nome di fantasia) si trovava in visita ai genitori durante il fine settimana. La mattina dell’8 marzo la famiglia ha sentito colpi d’arma da fuoco e poi silenzio. Pensavano che fosse tutto finito ma il giorno dopo, alle 10, un gruppo di uomini armati è entrato nell’edificio e ha ripreso a sparare. Ho chiamato i miei parenti e ho detto loro di seguirmi salendo sul tetto. Erano dietro di me. Ho raggiunto il tetto, mi sono girato ma non c’era nessuno. Poi ho sentito uno degli uomini armati chiedere a mio fratello se fossimo alauiti o sunniti. Mio fratello ha risposto con la voce tremante. Un altro mio fratello è intervenuto dicendo: ‘Portate via quello che volete ma lasciateci in pace’. Continuavo a sentire la sua voce allontanarsi, come se lo stessero portando giù per le scale. Poi ho sentito colpi d’arma da fuoco.
Qualche minuto dopo Saed ha trovato i corpi di suo padre (75 anni) e dei suoi fratelli (31 e 48 anni) all’ingresso dell’edificio. Amnesty International ha esaminato immagini che mostrano tre corpi situati al di fuori di un edificio residenziale.
Testimoni hanno riferito ad Amnesty International che molti degli uomini che avevano preso parte alla sparatoria erano siriani ma che c’erano anche alcuni stranieri.
Secondo gli abitanti del luogo, le autorità non sono intervenute per impedire le uccisioni né hanno indicato percorsi sicuri per allontanarsi dagli uomini armati.
Il 9 marzo il presidente Ahmed al-Sharaa si è impegnato ad assicurare i responsabili alla giustizia istituendo una commissione di accertamento dei fatti e un alto comitato per il mantenimento della pace.
Sebbene la prima decisione sia sembrata un passo avanti per ricostruire quanto accaduto e identificare i sospetti responsabili, le autorità devono ora assicurare che la commissione abbia il mandato, il potere, la competenza e le risorse per indagare in modo efficace, ad esempio incontrando i testimoni e i familiari delle vittime e assicurando la loro protezione e potendo accedere alle fosse comuni contando anche sulla collaborazione di esperti in medicina legale. La commissione dovrà anche avere tutto il tempo necessario per completare le sue indagini.
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