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Arte ed ecologia, Jacopo Di Cera: “Le opere sono il modo migliore per diffondere la coscienza ambientalista”

L'artista e fotografo italiano dal 16 al 20 aprile esporrà all’Art Dubai 2025: quaranta monitor (100% riciclati ed ecosostenibil) per raccontare il collasso dei ghiacciai
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“Viviamo in un mondo in cui se porto dati e numeri e spiego che la crisi del clima sta rovinando il pianeta ci sarà sempre qualcuno che dice non è vero, che i dati sono falsi, etc; invece l’arte è un linguaggio inconfutabile, perché genera emozione. E l’emozione non è discutibile, la senti dentro, nessuno potrà dirti che è sbagliata. Ecco perché noi artisti abbiamo una responsabilità in più, perché utilizziamo un linguaggio semplice ma che nessuno può confutare”. Jacopo Di Cera è un artista e fotografo italiano che dal 16 al 20 aprile prossimi esporrà all’Art Dubai 2025 un’opera composta da quaranta monitor che racconta il collasso dei ghiacciai, in particolare quello del ghiacciaio della Brenva. Il progetto si chiama “Retreat”, a significare il ritiro dei ghiacciai. “Ma il nome”, spiega, “allude ironicamente anche al classico ‘ritiro’ in cui spesso ci rifugiamo. Un ritiro in cui la natura ci abbraccia e ci ‘consola’, la stessa natura che oggi stiamo portando verso un collasso”.

Un viaggio emotivo e sensoriale, tra percezioni visive e rumori – L’opera è composta, appunto, da quaranta monitor che raccontano la fusione dei ghiacciai, attraverso arte, digitale e tecnologia. Una fusione che viene raccontata attraverso un video in costante movimento, sequenze visive senza un inizio ed una fine, in un loop “infinito”. L’opera “scivola” attraverso una composizione verticale da un monitor all’altro “creando una cascata di immagini in movimento, coinvolgendo il pubblico in un racconto dove la percezione si intreccia alla consapevolezza, un viaggio emotivo e sensoriale”. Al centro dell’installazione, il destino del Ghiacciaio della Brenva, una delle formazioni più imponenti del Monte Bianco e simbolo del collasso in atto.

In collaborazione con il sound artist Massimiliano Ionta, l’autore ha deciso di aggiungere il rumore dei ghiacciai che si rompono e, grazie all’intelligenza artificiale, è possibile unire questi rumori creando un’unica sequenza, per creare un grande urlo del ghiaccio che fonde e si rompe.
“Proprio nel pianificare l’aspetto sonoro dell’opera”, spiega Di Cera, “ho saputo che in passato, quando i ghiacciai erano espansi, gli abitanti dei villaggi cantavano perché non invadessero i paesi. Oggi la stessa preghiera viene fatta per non farli ritirare, perché non muoiano. Questa cosa mi ha colpito. L’ho trovato veramente suggestivo”.

La tecnologia come strumento di consapevolezza – Come ogni elemento di “Retreat”, anche la scelta dei monitor è in linea con la coerenza concettuale dell’opera. “Abbiamo scelto”, spiega Di Cera, “modelli 100% riciclati, totalmente ecosostenibili, in maniera tale da incarnare lo stesso messaggio dell’opera, ossia la necessità di ripensare il nostro rapporto con la natura e con le risorse che consumiamo.

È così che anche la tecnologia stessa viene ridefinita come strumento di consapevolezza e sensibilizzazione con un’opera che dimostra come il digitale possa non solo documentare il cambiamento climatico, ma anche trasformarlo in un’esperienza che tocca emotivamente il pubblico, spingendolo all’azione. D’altronde gli effetti climatici ci stanno toccando fortemente, sotto diversi aspetti. Il tema viene relegato a qualcosa di secondario, ma è assurdo, perché presto ci ritroveremo col cerino in mano”.

Ma l’arte fa abbastanza per raccontare il clima? “Diciamo che si può fare di più e meglio”, afferma l’artista, “anche perché sono temi in cui è facile cadere nella semplificazione, nel senso che se da una parte sono scomodi, dall’altra lo sono fin troppo, tanto da scadere spesso in un greenwashing comunicativo. Ma la responsabilità nel raccontare la crisi climatica è di tutti, qualsiasi lavoro si faccia. È una questione urgente, perché l’orizzonte non è sereno, e per questo non dobbiamo spegnerci ma attivarci ognuno nel proprio campo e con il proprio linguaggio espressivo”.

Dai migranti all’elaborazione del lutto, gli altri progetti – Prima di “Retreat”, Jacopo di Cera ha lavorato sul tema delle secche del Po nel 2022, creando immagini surreali, quasi marziane. I suoi primi progetti sono invece caratterizzati da un approccio “fotomaterico”. Uno dei primi progetti si chiama “Fino alla fine del mare” e racconta i barconi abbandonati dei migranti a Lampedusa, attraverso i loro colori. Le immagini sono state stampate su legno e resinate. “Le parole chiave sono state quelle del viaggio, della lotta, della speranza, della salvezza, dell’approdo, del ritorno”, spiega.

Gli altri progetti – Nel 2016 ha invece iniziato il progetto “Sospesi”, utilizzando dei droni che consentono di avere un punto di vista “zenitale”, un artificio esecutivo che però che “ha un ruolo concettuale molto importante: appiattendo, senza profondità di campo, dico che siamo tutti sullo stesso piano. È una sorta di democratizzazione sociale – le differenze vengono annullate – per raccontare l’italianità durante vari momenti, tra cui le vacanze”.

Un altro progetto, “Rumore”, riguarda invece il dramma di Amatrice e Accumuli. “Entrando nelle zone terremotate, ho costruito un percorso che seguiva le cosiddette quattro fasi dell’elaborazione del lutto: la negazione, la frammentazione, la rimodulazione, l’accettazione. Alla fine, dal basso vero l’alto, si vede il cielo come atto di speranza e accettazione di una nuova realtà”.

Infine, il progetto “Milano-Roma”, per documentare l’atto sociale del pendolarismo, nato dagli otto anni di viaggio dell’autore. “Le foto, stampate sul vetro dei finestrini di un treno, sono state scattate tutte nello stesso posto per raccontare la staticità del pendolare che ha di fronte a sé un mondo che però cambia negli orari, nei mesi, nel meteo. Guardare il mondo da un vagone può avere un suo dinamismo. Oggi ce lo stiamo dimenticando, perché non abbiamo ancora capito quale debba essere il ruolo del digitale nella nostra vita quotidiana. Ci sta frammentando socialmente. C’è una forte necessità di ripensarne il rapporto”.

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