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Bambini separati dalle madri detenute: col dl Sicurezza il governo compie un passo di non ritorno

Per la prima volta in assoluto si apre alla possibilità che il bambino venga strappato a sua madre. Fino a ora non si era mai pensata una misura simile
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Con un colpo di mano, le norme contenute in quello che era il disegno di legge governativo sulla Sicurezza sono convogliate quasi del tutto inalterate in un decreto legge. Norme che giacevano in parlamento da mesi e mesi sono all’improvviso divenute necessarie e urgenti, così da poter essere emanate dal Consiglio dei Ministri saltando la discussione parlamentare. Le nuove disposizioni, come più volte abbiamo ripetuto, compromettono i principi dello Stato di diritto nel nostro paese. Il testo costituisce “Il più grande attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana”, come recita il titolo di un volume di Antigone sull’argomento (Momo Edizioni). Queste cose le abbiamo dette e ripetute. Qui mi interessa segnalare brevemente una circostanza assai inquietante cui mi pare non si dia la giusta attenzione.

Come ampiamente circolato in varie indiscrezioni mediatiche, una delle norme del vecchio disegno di legge maggiormente invise alla presidenza della Repubblica era quella riguardante le detenute madri. Con essa si prevedeva l’abolizione dell’obbligo – presente nel codice firmato dal guardasigilli fascista Alfredo Rocco – di rimandare l’esecuzione della pena nel caso di donna incinta o con figli di età inferiore a un anno di vita. Da obbligatorio, il rinvio diveniva facoltativo, ovvero soggetto alla decisione del giudice che caso per caso doveva valutare il rischio che la donna tornasse a commettere reati.

Il decreto Sicurezza appena entrato in vigore ha lasciato su questo punto le cose sostanzialmente immutate. La donna in gravidanza o appena divenuta madre, una volta condannata, potrà iniziare da subito a scontare la propria pena. La presunta novità sarebbe la seguente: se il bambino ha meno di un anno di età, la donna dovrà andare obbligatoriamente in un Icam (Istituto a custodia attenuata per detenute madri). Se il bambino ha tra un anno e tre anni di età, potrà andare in un Icam oppure, se le ragioni di sicurezza lo richiedono, in un carcere ordinario. Una cosa analoga accade in fase cautelare: fino a un anno c’è l’obbligo dell’Icam, dopo dipende da ragioni di sicurezza.

Questa disposizione, che finge di andare incontro alle preoccupazioni del Colle, non serve in alun modo ad allontanare i bambini appena nati o in procinto di nascere dal carcere. L’Icam è un carcere a tutti gli effetti: un edificio chiuso, gestito dal Ministero della Giustizia, all’interno del quale scorre la pena della reclusione, dal quale non si può uscire liberamente. Da questo punto di vista, cambia davvero poco.

Ma una cosa invece cambia enormemente: per la prima volta in assoluto si apre alla possibilità che il bambino venga strappato a sua madre. Il decreto prevede infatti che la donna che non si comporta a dovere (compromette l’ordine o la sicurezza dell’istituto, diciture – di cui il decreto è pieno – sufficientemente vaghe da permettere qualsiasi arbitrio) mentre è sottoposta alla custodia cautelare in un Icam possa venire trasferita in un carcere ordinario senza suo figlio. Per lui o per lei verranno allertati i servizi sociali.

Se il contenuto dell’articolo non fosse preoccupante potremmo ironizzare sulla sua rubrica, che parla di “condotte pericolose realizzate da detenuti in istituti a custodia attenuata per detenute madri”, declinando al maschile il sostantivo là dove negli Icam troviamo solo donne, alla faccia di qualsiasi linguaggio inclusivo…

Fino a ora non si era mai pensata una misura simile. La norma del 1975 che permetteva alla madre detenuta di portare con sé il bambino era intesa dal legislatore come una norma di garanzia nei suoi confronti: era lei, e solo lei, a dover effettuare la scelta, a dover stabilire se far dormire suo figlio per un periodo in stanza con sé costituisse – purtroppo – in quella specifica circostanza il male minore.

Quando chiedevamo una maggiore attenzione affinché i bambini non dovessero fare ingresso in carcere, era una maggiore apertura verso misure di decarcerizzazione per la madre detenuta che stavamo chiedendo. Misure da prendersi con coraggio, investendo risorse nelle case-famiglia e preparando una seria accoglienza esterna. Ben sapevamo che nessuna legge avrebbe mai potuto garantire che nessun bambino varcasse più le porte di un carcere, se non strappando il figlio alla madre. Per questo non chiedevamo una legge risolutiva, ma un lavoro caso per caso, che si accompagnasse a risorse economiche e maggiore attenzione al tema.

L’attuale governo è riuscito a compiere un passo di distruzione e di non ritorno. Si è oggi aperto alla possibilità dell’istituzionalizzazione forzata dei figli delle detenute. Tornare indietro sarà sempre più difficile.

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