Così la democrazia si è trasformata in sete di potere personale. E non è un incidente di percorso

di Gianni Siragusa
La democrazia, nata come promessa di equità e rappresentanza, si trova oggi a un bivio cruciale. Nel mondo in generale, ed in quello occidentale in particolare, le decisioni del potere politico si allontanano sempre più dai bisogni reali dei cittadini, tracciando un solco sempre più profondo tra governanti e governati. Questa deriva non è un incidente di percorso ma il risultato di una lenta metamorfosi del sistema democratico, dove spesso l’ambizione personale e la sete di potere prevalgono sul bene comune, trasformando la politica in un’arena di interessi egoistici.
Già qualche anno fa un certo Platone, nel suo dialogo La Repubblica, aveva lanciato un monito profetico: la democrazia, se non guidata dalla saggezza e dalla virtù, rischia di degenerare in una tirannia di pochi, una maschera ingannevole di libertà. Oggi, questa profezia sembra avverarsi in modo inquietante.
La concentrazione di ricchezza e potere nelle mani di pochi, indotta dall’espansione di incontrollate politiche neoliberiste, ha creato plutocrazie sovranazionali (grandi corporation, lobby industriali e istituzioni finanziarie globali) che de facto dettano l’agenda politica nazionale ed internazionale, relegando i governi al ruolo di meri esecutori di volontà altrui. Si consuma così la dissoluzione del legame tra eletto ed elettore.
L’investitura popolare, un tempo patto inviolabile, si tramuta banalmente in un mezzo che determina l’ascesa dell’eletto nella scala sociale. Mentre il rispetto per la volontà degli elettori scompare definitivamente nel labirinto di obbedienze occulte, dove il plauso dei potenti si sostituisce al plauso del popolo. Il concetto di morale, nell’eletto, viene disintegrato dall’euforia delle ricompense, dei privilegi e dei favori offerti, oppure occultato dalla minaccia dell’ostracismo cui si verrebbe condannati se non operosamente genuflessi a chi di dovere.
È così che il bene comune e il rispetto per i cittadini viene sacrificato sull’altare dell’ambizione personale. Tutto ciò mina alla radice la fiducia nelle istituzioni e allontana gli individui dalla partecipazione politica.
La protesta, un tempo strumento potente di cambiamento sociale, si è trasferita dalle piazze al mondo virtuale perdendo la sua forza. Ma anche qui attenzione, il potere ci mette lo zampino. Le corporation che controllano il web possono manipolarne le istanze, rendendo sterile e frammentato il dissenso, intrappolandolo in una bolla di algoritmi.
In tutto ciò, non elemento minore ma eclissi pervasiva, c’è il depauperarsi progressivo dei valori morali e spirituali che getta un’oscura coltre che potrebbe in parte spiegare anche l’attuale deriva del potere.
La cultura fideica – intesa come sistema di valori e comportamenti non necessariamente legati a una religione, ma che comunque esercitano un’influenza sensibile sull’identità e sul comportamento di un individuo o di una comunità – un tempo pilastro della coesione sociale e della riflessione interiore, è stata marginalizzata dal nichilismo materialistico, che riduce l’uomo a un mero ingranaggio della macchina consumistica. Senza etica, la società perde la capacità di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, riducendosi a un individualismo sterile e consumistico, dove l’interesse personale e il successo economico diventano gli unici valori, svuotando di significato l’esistenza umana stessa.
In questo scenario oscuro, con gli eletti che fanno tutto tranne quello che gli elettori si aspetterebbero, con la partecipazione politica svuotata di significato, con la protesta virtualizzata e neutralizzata, con l’espressione del dissenso resa impossibile dalla morsa del controllo, resta da chiedersi: esistono ancora vie d’uscita o siamo condannati a vivere in un mondo che ha smarrito il senso del sociale e della stessa esistenza?
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