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Torino, morì per i fumi del frigorifero: imputati due manager della multinazionale LG

Giovedì inizia l'udienza preliminare a carico dei due. I reati ipotizzati sono di omicidio colposo, incendio colposo e violazione del "codice del consumatore" del 2005
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Era il 27 giugno 2020 quando i fumi dell’incendio scaturito per un guasto al frigorifero provocarono la morte l’insegnante 46enne Eliana Rozio nel suo appartamento di Beinasco, in provincia di Torino. Ora, dopo l’opposizione della famiglia della vittima alla richiesta di archiviazione della procura, i nuovi accertamenti su cosa causò la fuoriuscita dei fumi sono sfociati in una richiesta di rinvio a giudizio per due manager dell’azienda produttrice dell’elettrodomestico, la multinazionale coreana LG. Giovedì inizierà l’udienza preliminare che vedrà i due imputati per omicidio colposo, incendio colposo e violazione del “codice del consumatore” del 2005.

Ad avviso del consulente tecnico della famiglia, l’ingegnere del Politecnico di Torino Luca Marmo, a provocare la morte della donna furono sostanze come “monossido di carbonio, ma soprattutto acido cianidrico, gas letale anche in concentrazioni minime” che fu responsabile, proprio a Torino, delle vittime dell’incendio del cinema Statuto. L’elettrodomestico, costruito nel 2016 in Polonia, era ancora in garanzia, “regolarmente dotato della marcatura CE” ma, secondo la tesi della pm Chiara Canepa, la scheda madre del frigorifero non sarebbe stata isolata, con apposito materiale ignifugo, dalla schiuma poliuretanica necessaria all’isolamento termico.

Una schiuma, specifica il consulente tecnico della famiglia di Rozio, “capace di propagare il fuoco in misura molto maggiore rispetto alla norma, con fumi altamente tossici. La quantità di gas nocivi fu tale da creare una concentrazione immediatamente letale”. “In un elettrodomestico – ha concluso Marmo – ci sono decine di componenti. Può capitare che uno di essi, nel corso degli anni o dei decenni, finisca per guastarsi. Ciò che non deve accadere è che un guasto provochi un evento peggiore”.

A tal proposito i legali della famiglia della vittima starebbero valutando anche un’azione inibitoria contro la società produttrice, il cui modello – sebbene ormai sia fuori produzione – “non è mai stato ritirato dal mercato, e oggi non è dato sapere quanti ne siano presenti in Italia e nel resto d’Europa”. Finalità di quest’azione inibitoria è di obbligare il fabbricante ad informare gli utenti e ad avviare una vera e propria “campagna di richiamo” degli esemplari, onde evitare che una tragedia simile si ripeta altrove.

Un’azione utile a “prevenire lesioni o decessi”, specifica Renato Ambrosio, legale della famiglia insieme ai colleghi Stefano Bertone e Alessandra Torrieri. L’iniziativa è ritenuta anche necessaria affinché “aziende considerate le migliori sul mercato onorino gli alti livelli di qualità non solo nella forma ma anche nella sostanza”, aggiunge il collega di studio Stefano Bertone. Per l’avvocata Alessandra Torreri “il processo penale permetterà di fare piena luce sulla vicenda” e ricorda che “la sicurezza è garantita e sancita da leggi e protocolli che vanno rispettati, in caso diverso vi deve essere condanna che sanzioni il responsabile”.

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