Mentre i car makers sono rintronati dai dazi al 25% sulle vetture importate negli USA, promulgati in pompa magna da Donald Trump, c’è chi sostiene che le misure economiche decise dalla Casa Bianca avvantaggeranno la Tesla di Elon Musk, fra i fedelissimi del presidente Usa. Le nuove tariffe del 25% (oltre a qualsiasi dazio già in vigore) si applicheranno a tutti i veicoli passeggeri e ai camion leggeri importati negli USA, nonché a parti essenziali come motori, trasmissioni e componenti elettrici.
In effetti, Tesla ha fabbriche in California e Texas, che producono tutte le auto che la marca vende negli Stati Uniti. Tesla è quindi la meno esposta ai nuovi dazi, sostiene l’analista di CFRA Research Garrett Nelson. Mentre i principali rivali, come Hyundai, Volkswagen e la (statunitense) General Motors dovranno presto affrontare costi assai più elevati.
Musk comunque la butta sul “chiagni e fotti”, affermando che Tesla non uscirà completamente indenne dalle manovre di Trump: in alcuni recentissimi post su X, il “divino” Elon ha spiegato che i dazi avranno impatto “significativo” sull’azienda e un effetto “non banale” sui prezzi dei pezzi di ricambio per auto importati negli USA e utilizzati da Tesla.
Tuttavia, tra il 60 e il 75% dei componenti utilizzati da Tesla sono fabbricati negli Stati Uniti e il resto arriva prevalentemente dal Messico. Ma poiché il valore dei pezzi importati non è chiaro, l’impatto finanziario dei dazi su Tesla rimane ad oggi sconosciuto. E poco conta che Trump abbia insistito sul fatto che non vi sia alcun conflitto di interessi fra le sue decisioni e gli affari di Musk, numero uno di Tesla ma anche capo del dipartimento che dovrà efficientare la pubblica amministrazione americana e a cui Trump ha dato in mano le chiavi di Marte.
“Ci sono pochissimi vincitori” con i dazi, afferma Sam Fiorani, vicepresidente delle previsioni globali sui veicoli per AutoForecast Solutions, in un’intervista rilasciata a Bloomberg: “I consumatori saranno i perdenti perché avranno una scelta ridotta e prezzi più alti”. Anche l’americana Ford potrebbe affrontare un impatto meno grave rispetto ad alcuni rivali: circa l’80% delle auto che vende negli Stati Uniti sono “Made in USA”. Il suo piccolo pick-up entry-level Maverick arriva dal Messico, però, così come il Suv compatto Bronco Sport e la Mustang Mach-E.
Chiaro che i marchi stranieri che dipendono fortemente dai veicoli importati negli USA saranno quelli che subiranno la pressione maggiore. La sopracitata Hyundai rischia di essere tra i più colpiti: sebbene il colosso coreano abbia stabilimenti in Alabama e Georgia e impieghi 570mila persone negli Stati Uniti (e abbia annunciato questa settimana un piano di espansione americano da 21 miliardi di dollari), nel 2024 ha importato più di un milione di veicoli negli States. Tradotto, significa che Hyundai (e la sua controllata Kia) potrebbero dover pagare fino a 7 miliardi di dollari all’anno per i dazi di Trump. Secondo Hyuk Jin Yoon, analista di SK Securities con sede a Seoul, ciò rappresenta quasi il 40% dell’utile operativo totale conseguito nel 2024.
Molto esposta anche Toyota: nonostante abbia quattro stabilimenti di assemblaggio distribuiti tra Kentucky, Indiana, Mississippi e Texas, oltre a stabilimenti di motori in West Virginia e Alabama, la più grande casa automobilistica al mondo importa circa la metà di ciò che vende negli Stati Uniti. Sicché i dazi potrebbero ridurre del 6% l’utile operativo stimato di Toyota per l’anno fiscale 2026, secondo gli analisti di Goldman Sachs Japan.
La Nissan, già in difficoltà finanziarie, sarà probabilmente la più colpita tra le principali case automobilistiche giapponesi, col suo utile operativo stimato che probabilmente si ridurrà del 56%. Per le medesime ragioni, Subaru potrebbe vedere il suo utile operativo del 2026 scendere del 23%, sempre secondo Goldman Sachs.
Nemmeno le case automobilistiche di Detroit sono state risparmiate dalle politiche economiche trumpiane: GM importa alcuni pick-up, come lo Chevrolet Silverado, dagli stabilimenti in Messico e Canada. Mentre il Suv compatto Chevy Trax arriva dalla Corea del Sud e il crossover SUV Chevrolet Equinox dal Messico. E nel 2024 GM ha venduto più di 200 mila pezzi fra Equinox e Trax. Stellantis, invece, produce i Suv Jeep Compass e Wagoneer S in Messico e importa i suoi minivan Chrysler Pacifica dal Canada e le compatte Dodge Hornet e Fiat 500 dall’Italia. Centinaia di migliaia di vetture per le quali andrà pagato un nuovo obolo, lo stesso che, perlomeno in parte, sarà scucito dalle tasche dei clienti.