Da un lato i provvedimenti annunciati dalla ministra del Lavoro Marina Calderone all’indomani della tragedia degli operai morti nel cantiere Esselunga di Firenze lo scorso febbraio, con l’adozione della famosa patente a crediti per le aziende dell’edilizia. Dall’altro i decreti del ministero per combattere il sommerso, coerentemente con i traguardi del Pnrr. Obiettivi che per essere realizzati hanno bisogno anche dell’attività ispettiva e infatti la ministra ha promesso più controlli. Ma proprio secondo gli ispettori del lavoro la vigilanza non gode di buona salute. Anzi, la strategia messa in campo per la valutazione dei loro risultati rischia di “compromettere la funzione stessa della vigilanza sul territorio”. A dirlo sono tutti i sindacati: in diversi comunicati unitari le federazioni della funzione pubblica di Cgil, Cisl, Uil e Confintesa, insieme a Confsal Unsa, hanno lanciato l’allarme e anche l’Usb l’ha denunciato più volte. A spiegare al Fatto che significa sono gli stessi ispettori. “Con i nuovi obiettivi fissati, in un cantiere come quello dell’Esselunga di Firenze ad andar bene ci vai una volta l’anno, perché il resto del tempo lo devi dedicare al raggiungimento del target”, spiega uno di loro a garanzia dell’anonimato.

Al centro delle accuse è la Direttiva II livello adottata nei mesi scorsi dall’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) guidato da Paolo Pennesi. Per la vigilanza ordinaria, denunciano i sindacati, si basa su un metodo matematico che “non considera la specificità dei territori e degli uffici, né la particolarità di situazioni soggettive meritevoli di tutela”, imponendo gli stessi obiettivi anche a lavoratori che usufruiscono della legge 104 per l’assistenza ai familiari o a madri in allattamento. Perché i target sono individuali, e non è un dettaglio. L’Inl ha sempre avuto a che fare con obiettivi numerici per gli accessi ispettivi, “ma prima di questo governo si teneva conto anche del numero di lavoratori tutelati: è decisamente più impegnativo e dispendioso un accertamento su 300 dipendenti per recupero contributivo che quello fatto su un solo lavoratore”, osserva un funzionario Inl. “Invece la nuova Direttiva fa tabula rasa della maggior parte delle tutele che noi ispettori possiamo offrire ai cittadini”. Si è deciso di considerare performanti “soltanto alcuni tipi di illeciti, mentre un numero vastissimo di violazioni, spesso ricorrenti, non è considerato come standard di qualità”, chiariscono i sindacati. In altre parole si incentivano interventi veloci per scovare lavoratori in nero e moltiplicare i numeri. “Chi me lo fa fare di indagare poi gli appalti e i subappalti, la corretta applicazione del contratto, dell’orario di lavoro che tanto incide sulla sicurezza? No, faccio tanti piccoli accertamenti e via. Tanto una parte del salario accessorio me la danno in base a questi numeri”, ragiona provocatoriamente un ispettore.

Gli effetti? “Non si comprende perché gli accertamenti complessi riferiti a grandi aziende e a fenomeni di macro-illegalità che richiedono un’istruttoria rilevante non siano adeguatamente valutati e si preferisca valorizzare le vigilanze programmate con il cosiddetto “accesso breve” e finalizzate solamente al sommerso, che spesso colpiscono piccoli artigiani e commercianti, a tutto vantaggio dei grandi gruppi o dei grandi appalti, ove spesso si annidano fenomeni di più rilevante illegalità, come gli ultimi gravi infortuni insegnano”, si legge in comunicato unitario pubblicato il mese scorso. Così diventa una questione di coscienza e molti già prevedono di non raggiungere gli obiettivi di quest’anno. A meno di non chiudere gli occhi su illeciti a cui la Direttiva dà minore rilevanza. L’elenco è lungo: c’è l’orario di lavoro, la fruizione delle ferie, gli straordinari e i riposi; la tutela dei disabili; il controllo dei limiti dimensionali dell’impresa in relazione ai lavoratori somministrati; le sanzioni penali extra somministrazione (video sorveglianza, visite mediche); i controlli amministrativi sui patronati; le verifiche sulla Cassa Integrazione per l’erogazione dei fondi ai dipendenti; le sanzioni legate all’elaborazione delle busta paga e le diffide accertative, provvedimenti di tutela diretta a favore dei lavoratori che, a loro svantaggio, non vengono conteggiati per il raggiungimento dello standard di qualità. Un mandato limitato, da “cottimista“, che alcuni considerano un “disincentivo”, altri un “ricatto”: “Ha più senso fare 60 pratiche in un anno per aziende da un dipendente o 10 su catene di appalti? Certo, nel secondo caso c’è il rischio di disturbare qualcuno”.

“Tu vai a rompere le scatole al piccolo artigiano, al commerciante, al ristoratore, dove spesso il sommerso è endemico, lo sappiamo. Ma se orienti la vigilanza in quest’unica direzione, non fai la lotta allo sfruttamento, ai meccanismi fraudolenti del sistema degli appalti e dei subappalti, delle finte cooperative dove è pieno di sfruttati. Non contrasti la somministrazione fittizia di manodopera”, accusa un ispettore. Un collega rilancia: “Ci sono territori virtuosi, in particolare al Nord dove tutto questo nero non c’è e averlo come unico obiettivo non ha senso, mentre andrebbero perseguiti altri fenomeni”. E commenta: “Due le cose: o siamo di fronte all’ignoranza, sia agli alti livelli dell’Ispettorato che della politica. O banalmente è la realizzazione di uno slogan più volte ripetuto da questo governo, il famoso “non disturbare chi produce”. Mi preoccupa soprattutto l’orario di lavoro troppo spesso correlato agli infortuni. Verificane il rispetto è una fatica, si procede busta paga per busta paga, senza un software: per ricostruirle lavoriamo con la calcolatrice”. A proposito, più d’uno tira in ballo il cantiere Esselunga di Firenze, dove ad operare erano decine di ditte in subappalto. “Un accesso a un cantiere così non lo chiudi in una settimana: vai a vedere se i costi della sicurezza sono stati abbattuti, quali trattamenti retributivi c’erano, perché a lavorare erano quelle ditte, com’erano gli appalti”, si ragiona. Senza dimenticare che l’attività ispettiva deve servire da deterrente, ma la repressione non basta. “Con un codice che liberalizza gli appalti a cascata e quindi l’abbattimento dei costi tagliando su contributi, paghe e corsi di sicurezza perché fanno leva sulla ricattabilità di chi è in fondo alla filiera, come pensi di risolvere il problema degli infortuni, con la patente a punti?”.

E se gli obiettivi posti quest’anno “banalizzano l’attività ispettiva” – sostengono i sindacati -, altro la squalifica. Nonostante l’impegno a potenziare la vigilanza abbia ormai dieci anni e anche Calderone abbia messo in campo nuove assunzioni, ad oggi l’organico dell’Inl è ancora in sofferenza. Complice la pandemia, negli anni scorsi per trovare nuovi ispettori si è passati ai concorsi a quiz, con i profili tecnici aperti a tutte le classi di laurea. “Abbiamo un teologo, uno storico, diversi psicologi, laureati in Scienze motorie, beni culturali e anche qualche infermiere”, trapela dall’interno dell’Inl. Effetti di quella che gli ispettori definiscono “mancanza di appetibilità dell’Ispettorato”. Lo stipendio d’ingresso è di circa 1.600 euro e, sommato alle responsabilità di chi firma a nome proprio verbali che devono reggere in tribunale, ha già portato molti a rinunciare al posto. “L’ultimo concorso è riuscito a coprire metà dei posti a bando e c’è da immaginare che anche il prossimo andrà così”, commenta un funzionario. Ma la fuga non è solo degli ultimi arrivati. Ai tempi del governo Renzi e del Jobs act si era immaginato un Ispettorato nazionale che incorporasse anche le funzioni degli ispettori Inps e Inail e infatti ai due istituti era stato imposto il ruolo a esaurimento e il definitivo blocco delle assunzioni. Una rivoluzione mancata e alla fine si è fatta marcia indietro anche su Inps e Inail. “Il giorno in cui ci saranno nuovi concorsi – assicurano gli ispettori Inl – alle nostre latitudini saranno ben pochi i colleghi al lavoro, perché l’intenzione di partecipare sembra già molto diffusa”.

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