Una Scuola Contadina per chi già sa e per chi vuole avvicinarsi per la prima volta alla terra, con corsi di viticoltura, apicoltura, olivicoltura: è uno dei tanti progetti (attualmente in corso quest’anno) organizzati dall’Agenda Ecologia dell’Unione Buddhista Italiana. A essa seguirà, il prossimo anno, una scuola di formazione scientifica per formare persone che a loro volta divulgheranno i principi dell’agroecologia e dell’agricoltura rigenerativa. Entrambe le scuole sono gratuite e aperte a tutti e il motivo ce lo spiega Silvia Francescon, attuale responsabile dell’Agenda Ecologia dell’Unione Buddhista Italiana, oltre che esperta in diritto internazionale dell’ambiente, con un lungo curriculum da negoziatrice di accordi ambientali per diversi governi italiani. “Come Unione Buddhista Italiana percepiamo i fondi dell’otto per mille. Con le quote che arrivano da persone che ci scelgono esplicitamente, sosteniamo i centri che fanno riferimento all’Unione Buddhista Italiana; con le quote inespresse, che arrivano attraverso il ricalcolo della quota rimanente divisa per confessioni, sosteniamo progetti umanitari. In altre parole, in entrambi i casi, abbiamo scelto di restituirli alla società”.

Facciamo un passo indietro. Come si lega il buddhismo all’ecologia?

L’ecosistema si basa sull’interdipendenza. La saggezza buddhista è comprensione dell’interdipendenza unita alla compassione. Da sempre, quindi, il buddhismo è ecologico, non serve fare uno sforzo interpretativo. Inoltre, due tra gli insegnamenti del Buddha sono profondamente ecologisti.

Quali sono?

Nel Dhammapada (un’antologia che raccoglie le parole di Gautama Buddha) l’invito è a non recare danno, in gergo ecologista “do no harm”, e a coltivare il bene, “do good”. Il Buddha ci invita ad addestrare la mente per non arrecare danno e per essere di beneficio. Non dimentichiamo, poi, che sempre il Buddha, nel momento in cui viene sfidato dalle forze del male a provare il suo risveglio, tocca la terra con la mano destra (Bhūmisparśamudrā) e chiama proprio la Terra a testimoniare. Non è dunque un caso che la deep ecology (l’ecologia profonda) trovi ampia ispirazione dagli insegnamenti del Buddha.

Può spiegare meglio?

Tutti gli studiosi della deep ecology, come ad esempio Arne Næss (che ne ha coniato il termine), Gary Snyder, Joanna Macy erano e sono profondi conoscitori e studiosi di buddhismo. Incarnare la deep ecology equivale a riconoscere il concetto di interdipendenza e il valore intrinseco, non utilitaristico, di ciascun essere vivente. Il buddhismo, proprio come la deep ecology, ci esorta a un passaggio culturale dall’antropocentrismo al biocentrismo, dove l’essere umano non è al centro dell’ecosistema, non è il dominus, non è, e non si sente, separato dalla natura, ma è parte di un unicuum.

Concretamente, come è costruita la vostra Agenda ecologia?

L’abbiamo costruita su tre pilastri complementari. Uno è la Terra, e su questo stiamo investendo moltissimo. D’altronde, l’agricoltura industriale, basata sulle monocolture e ampio impiego di pesticidi, è una delle cause principali dei cambiamenti climatici. Ecco perché abbiamo deciso di sostenere e creare delle vere scuole contadine libere e gratuite, che si basano sui principi dell’agroecologia, come quella con “Mondeggi Bene Comune”. Una nuova scuola verrà creata presso il biodistretto di Bracciano in collaborazione con Navdanya International, l’associazione di cui Vandana Shiva è presidente. Non solo tecniche e pratiche agroecologiche, ma anche preservazione dei saperi, salvaguardia dei semi, formazione sui contesti locali e globali, sulle legislazioni, sul pensiero filosofico e sociale. Peraltro, sempre più monasteri e centri che fanno parte dell’Unione Buddhista Italiana sono protagonisti e co-costruttori di pratiche di agricoltura rigenerativa.

L’altro tema su cui insistete è quello del rapporto con gli animali.

Sì. Sono esseri senzienti. Siamo al fianco delle organizzazioni che promuovono la campagna sulla moratoria degli allevamenti intensivi, luoghi di tortura e di sofferenza estrema. Insieme all’istituto della dottoressa Jane Goodall promuoviamo progetti di educazione nelle scuole, come “roots and shoots”, radici e germogli. E anche con Sea Shepherd, per liberare gli animali dalle reti illegali che li soffocano nei fondali marini.

E il terzo punto?

Sono i diritti della natura. Non solo quelli degli animali, ma anche dei fiumi, delle montagne e degli ecosistemi. Noi immaginiamo sempre i diritti come qualcosa di legato alle persone fisiche. Eppure, anche le grandi aziende hanno personalità giuridica, allora perché la natura non può essere rappresentata? Magari partendo dall’esperienza della Nuova Zelanda, dove il governo ha fatto un accordo con i Maori per dare al fiume Whanganui personalità giuridica, o in Ecuador, dove la Costituzione del 2008 riconosce i diritti di Pachamama. In Italia abbiamo creato un’alleanza, IDRA (Iniziativa Diritti delle Reti d’Acqua) insieme alle comunità locali e a NICHE (the New Institute Centre for Environmental Humanities dell’Università Cà Foscari di Venezia) per costruire un percorso che porti al riconoscimento dei diritti degli ecosistemi che vanno dalle Dolomiti alla Laguna di Venezia. Mi faccia dire però un’ultima cosa.

Prego.

Al di là delle attività, non dobbiamo dimenticare che è la desertificazione della mente a portare a terreni desertificati. Noi possiamo e dobbiamo intervenire con alcune tecnologie, ma non sarà l’iper-tecnologia la soluzione, a meno che non sia accompagnata da una conversione, da una rigenerazione del pensiero, senza cui non ci sarà alcuna conversione ecologica. Ovviamente, tutto ciò è possibile se esiste un’altra trasformazione. Quella del lessico: parole come “agricoltura rigenerativa”, “sovranità alimentare”, “agro-ecologia” sono state prese, mi verrebbe da dire depredate, da coloro i quali hanno perpetrato la crisi ecologica. Per non parlare dell’abuso generale del termine “sostenibilità”, anche da parte di grandi inquinatori. Per questo penso che dovremmo fare un’alleanza con chi racconta le cose, con i divulgatori, con i giornalisti. Affinché avvenga un autentico cambiamento culturale: la transizione ecologica non può avvenire senza l’ecologia delle parole e del pensiero.

Foto: Alessandro De Angeli ©️ Unione Buddhista Italiana

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