In 30 arriveranno dall’Uganda per lavorare in aziende dell’IT tra Milano, Napoli e Torino. Dove altri 20 sono attesi dall’Egitto e dalla Giordania per essere impiegati nel settore dell’oreficeria. Tra i 50 e gli 80, invece, troveranno posto nella cantieristica. Piccoli numeri rispetto a quelli, più di 20mila, transitati fino ad ora dalle più pericolose rotte del mare. Tra questi gli oltre 60 migranti dispersi lunedì nel mar Jonio, gli 11 annegati nelle stesse ore al largo della Libia a poche ore dalla Giornata mondiale del rifugiato. E, come loro, le migliaia che ogni anno perdono la vita inghiottiti dai flutti. Se avessero avuto accesso ai corridoi lavorativi promossi dall’Unhcr e da altre realtà della società civile e previsti nel decreto flussi approvato lo scorso anno dal governo Meloni forse non sarebbero morti tentando di attraversare il Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna.

Lo strumento è stato messo a punto nella legge 50/2023, che oltre ai tradizionali flussi prevede un altro doppio binario per arrivare, lavorare e risiedere in Italia: da un lato una quota annuale ad hoc dedicata a lavoratori rifugiati fissata a 250 unità per il 2023, 2024 e 2025, e dall’altro un visto extra quota. La differenza: se nel primo caso il sistema consente di assumerli direttamente, la seconda modalità permette alle aziende di selezionare e prendere a lavorare i rifugiati solo al termine di un corso di formazione professionale e un corso civico-linguistico. Una sorta di “filiazione” dei tradizionali corridoi umanitari, strumento utilizzato dal 2015 per dare un futuro in Italia (senza la necessità di portare a termine corsi di formazione) a migranti particolarmente vulnerabili provenienti da Libano, Etiopia, Niger, Giordania, Libia, Pakistan e Iran e che ha dimostrato di funzionare, seppur con numeri ancora esigui.

A maggio 2023, pochi giorni dopo l’approvazione della legge l’Unhcr, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, aveva espresso “il proprio apprezzamento per la disposizione”. A distanza di un anno sono in funzione i primi progetti. Tra i 25-30 rifugiati in Uganda saranno formati a partire da luglio per lavorare in 9 aziende dell’Information technology – Accenture, Aubay, Btinkeeng, Experis (manpower), Gruppo Scai, MSC Tech, Overl IT, Reale Mutua e Valuetech – a Milano, Napoli e Torino attraverso il progetto “ReadyForIT” di cui è capofila Fondazione Italiana Accenture, in partenariato con Talent Beyond Boundaries, l’International Trade Center e Diaconia Valdese.

Un altro progetto prevede la partecipazione di un gruppo di 15-20 rifugiati residenti in Egitto o Giordania, che verranno formati per essere assunti da un’azienda di gioielleria torinese attraverso un percorso formativo svolto sotto l’egida di FederOrafi, in un programma sviluppato da Fondazione Ghirardi, in partenariato con tra gli altri con l’Unione Industriali di Torino. Tramite l’agenzia per il lavoro Orienta e una partnership con i Salesiani, invece, 50-80 rifugiati residenti in Egitto insieme a cittadini egiziani verranno formati per essere impiegati nel settore della cantieristica. Una quarta opportunità è tutt’ora allo studio nel settore delle costruzioni in Etiopia.

“E’ uno strumento utile che consente di bypassare tutta una serie di criticità – spiega Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione Leone Moressa -. Al momento è difficile valutarne gli effetti perché i progetti sono allo stato embrionale e i numeri delle persone mobilitate sono per ora esigui. Il fatto che possa trasformarsi in uno strumento importante anche da un punto di vista numerico dipende dalla volontà politica del governo”. Che ha annunciato una sterzata “in merito ai flussi di migranti regolari“.

Lo ha fatto il 4 giugno Giorgia Meloni. In un’informativa in Cdm a 4 giorni dalle europee, il capo del governo ha denunciato “un numero di domande di nulla osta al lavoro per extracomunitari, durante il click day, totalmente sproporzionato rispetto al numero dei potenziali datori di lavoro”. Nello specifico, sui permessi stagionali nel 2023 “su un totale di 282.000 domande, 157.000 arrivano dalla Campania, mentre 20.000 arrivano dalla Puglia. Solo che, per esempio nel settore agricolo, la Puglia ha circa il 12% delle imprese agricole italiane e la Campania solo il 6%”. In questo contesto “solo una percentuale minima degli stranieri che hanno ottenuto il visto per ragioni di lavoro in base al Decreto Flussi ha poi sottoscritto un contratto di lavoro. In Campania, meno del 3%“. In base a questi dati la premier ha annunciato un intervento su aspetti quali “la verifica delle domande di nulla osta al lavoro, il meccanismo del click day, della definizione delle quote, del rafforzamento dei canali di ingresso speciali, e più in generale della collaborazione con le associazioni di categoria, allo scopo di definire i fabbisogni di manodopera”.

“Una soluzione – spiega Di Pasquale – potrebbe essere quella di responsabilizzare le associazioni di categoria e gli intermediari sulle quote e su quella parte di ingressi previsti al di fuori delle quote individuate dal decreto flussi”. In questo senso i corridoi lavorativi costituiscono una possibilità d’ingresso extra quota riservata alle associazioni datoriali che in teoria garantisce un maggior controllo sull’intera filiera: “I rifugiati candidati al programma vengono prima identificati con il supporto di Unhcr, Talent Beyond Boundaries e altri partner locali – fa sapere l’Agenzia dell’Onu -, per essere poi intervistati e selezionati dalle aziende che, una volta completato il corso di formazione, li assumeranno in Italia. La formazione prevede sia aspetti tecnici che un orientamento culturale e di insegnamento della lingua italiana. Le aziende avranno modo di conoscere e testare le competenze dei candidati attraverso un test previsto al termine del percorso di formazione”. Chi non lo supera non viene assunto e non arriva in Italia.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Special Cook, la sfida di portare la cucina di qualità negli ospedali con un talent tra chef nei reparti

next
Articolo Successivo

Satnam Singh è morto di capitalismo: questo sistema di sfruttamento e disumanità va ribaltato

next