“La mia insegnante ha detto che mi cercherà nella prigione della contea di Cobb tra 5 anni…Wow”. Scriveva così sui propri social nel lontano 2014. Dieci anni dopo, Jaylen Brown è l’Mvp delle Finals Nba con la maglia dei Boston Celtics. Un successo personale (e di squadra) che chiude un cerchio per il nativo di Marietta: dai sobborghi di Atlanta al punto più alto della sua carriera. E c’era anche chi lo considerava “troppo intelligente” per poter giocare a basket. O addirittura un futuro teppista.

Introverso e timido, Jaylen Brown è il trionfo di un giovane ragazzo diventato “vecchio” (così lo chiamava la madre) sin dai tempi dell’infanzia: prima i compiti e la scuola, poi i primi tiri a canestro in giardino. In una mano i libri del college, nell’altra un pallone che portava sempre in giro con sé. La sua brillantezza in campo (e soprattutto fuori) l’hanno portato a vincere il titolo con i suoi Celtics, due anni dopo la delusione contro i Golden State Warriors.

La maestra si sbagliava
Una profezia errata. Perché le finali al TD Garden dicono di un Jaylen Brown dominante: 20.8 punti, 5.4 rimbalzi e 5 assist di media a partita. Oltre i numeri, la capacità di esserci sempre e in ogni lato del campo. Da un possibile futuro in prigione – secondo la sua maestra – a cestista più pagato nella storia dell’Nba il passo è breve: nell’estate del 2023, Brown sigla un accordo con la franchigia di Boston dal valore di 304 milioni di dollari per cinque anni.

“Non riesco nemmeno a esprimere a parole le emozioni. Sono fortunato e grato, è stato un lavoro di squadra. La storia e il viaggio sono fantastici. Dopo essere stato scelto qui a Boston, appena entrato ho tenuto la testa bassa e mi sono detto: ‘Continuerò a lavorare’. Ed essere qui in questo momento, dopo tutti questi anni, dopo tutti i dubbi, dopo tutti gli alti e bassi, dopo tutto quanto, rende la storia ancora più dolce”. Sì, la maestra si era decisamente sbagliata.

Troppo intelligente sui banchi e “sprecato” per il basket: oggi è l’Mvp
Per molti, un talento sprecato per la scienza, non per la pallacanestro. A Marietta, in casa Brown vige la disciplina e il rigore: il basket è una passione, certamente non il lavoro del futuro. Almeno sulla carta. I due fratelli, Jaylen e Quenton vengono cresciuti dalla madre Mechalle: per lei, la scuola viene prima di tutto. Nessun tipo di distrazione. Alla Wheeler High School, Brown è un’eccellenza in classe e sui campi: un rendimento che gli vale il premio di miglior giocatore dello stato a livello liceale, il “Mr. Georgia Basketball”. Nella sua esperienza alla Berkeley University continua a mostrare delle doti di grandissimo studente, poliglotta nel tempo libero: la lingua spagnola e araba le impara alla perfezione. La sua credibilità nel college raggiunge risultati inaspettati per un ragazzo della sua età: nel 2019, ha tenuto dei discorsi sull’importanza dell’istruzione ad Harvard e al Massachusetts Institute of Technology (MIT). Nel suo futuro, c’è addirittura la Nasa che gli ha proposta una collaborazione in forma di tirocinio. Poche settimane prima di essere draftato, Brown aveva predetto il suo futuro: “Un giorno sarò alle Finals”. Erano gli anni del duopolio James-Curry. Oggi, l’MVP è Jaylen Brown.

La conversione all’islam, gli scacchi e l’impegno per il sociale
“Il Ramadan è qualcosa di speciale per me, sotto molti punti di vista mi ha salvato la vita. Certe cose sono più importanti del basket”. Nel 2021 Brown si converte all’Islam: la fede è fondamentale nel suo percorso di crescita. Il miglior paragone con il basket? Per Brown coincide con la sua passione per gli scacchi: “Si tratta di leggere bene le situazioni e fare le mosse giuste: mi considero come il Re e tutti gli altri sono pedoni”. Non manca l’impegno per il sociale, in una lega che ha sempre promosso attività di questo tipo: attraverso la sua “7uice Foundation”, Brown si occupa in modo attivo di tematiche riguardanti il razzismo sistemico, la discriminazione e la marginalizzazione degli afroamericani negli Stati Uniti. Inoltre, Brown diventa il Vice President più giovane nella storia (22 anni) del sindacato dei giocatori Nba. E poi c’è “Raise the Age”, la campagna che si pone l’obiettivo di alzare fino a 20 anni di età l’ingresso in un carcere minorile. E in più occasioni, Brown è tornato su quel tweet che sarebbe potuta davvero essere la rappresentazione di un suo triste futuro: “Anch’io, come tanti, sono stato a una decisione di distanza dal ritrovarmi in una situazione diversa“. Chissà, ora, cosa starà pensando quella stessa insegnante che gli aveva pronosticato un futuro da perdente, dietro le sbarre di una cella. Jaylen Brown ha fatto ricredete tutti, soprattutto i più scettici. A partire dalla sua maestra.

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