La sindrome di Stoccolma è quella particolare forma di innamoramento che le vittime nutrono nei riguardi dei propri aguzzini. Fu coniata all’indomani di un episodio avvenuto in Svezia, quando alcuni impiegati di banca sequestrati per sei giorni dai rapinatori, cominciarono a nutrire sentimenti di empatia verso i criminali, fino a testimoniare in loro favore al successivo processo. Risultarono affetti da una sintomatologia ansiosa, disturbi fisici e psicofisici e sintomi depressivi. E’ la stessa patologia che ha colpito, non da ora, una quota non irrilevante di dirigenti, militanti e simpatizzanti del Partito democratico nei confronti di Matteo Renzi che oggi si ripropone al partito e al cosiddetto “campo largo” come novello alleato, essendosi facilmente liberato di ogni imbarazzo o senso di colpa, se mai ne abbia sofferto, per tutti i danni arrecati con le sue scelte precedenti, allo stesso partito, al centro sinistra e al paese, se oggi ci ritroviamo, soprattutto grazie a lui, al peggior governo di destra che l’Italia abbia mai patito, dall’avvento della Repubblica parlamentare.
Occorre dire che il popolo democratico, anche quando si denominava “diessino” o “pidiessino” e in parte ancor prima quando era “comunista”, ha sempre nutrito nei riguardi del capo, il segretario, uno smisurato amore, che un tempo affondava le sue radici nella mitologia rivoluzionaria, nell’identificazione totale nel partito, nella sua ideologia e nell’ incrollabile certezza che avrebbe raggiunto la meta palingenetica del socialismo, della società liberata dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il paradiso in terra. Da allora tra crolli, fallimenti, delusioni, ripensamenti e revisioni, abiure e nuovi giuramenti sull’insostituibilità del capitalismo e della società liberale, ne è passata d’acqua sotto i ponti.
Cionondimeno alcuni riti del passato permangono: la fiducia smisurata nei confronti del segretario come il migliore possibile, nella condizione data. Mai e poi mai il popolo ora democratico ha mai abiurato la scelta compiuta anche dopo sonore sconfitte e clamorosi fallimenti. Il senso di appartenenza, dopo aver perso il cemento marxista e leninista, ha acquisito quello democratico ancor più forte, anche perché liberato dalla fastidiosa pratica dell’autocritica, in una situazione antropologico-culturale ben diversa, dal momento che la composizione del partito si è contaminata con le più svariate correnti politiche della Prima e della Seconda repubblica.
Tutti i segretari, da Togliatti in avanti, hanno ricevuto analogo trattamento: folle innamoramento testimoniato e registrato dagli abbracci calorosi con le cuoche davanti ai fornelli delle feste de l’Unità (che nel frattempo non c’è più). La foto è sempre la stessa da Togliatti (escludiamo Bordiga e Gramsci perché ai fornelli non sembra siano transitati), passando per Berlinguer, Natta, Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino, Franceschini (primo esponente proveniente dalla DC), Bersani, Epifani (socialista), poi Renzi (ex Dc anche lui), brevi intermezzi di Orfini e Martina ma sempre con foto d’obbligo, infine Zingaretti, Letta e dulcis in fundo Elly Schlein.
Non pochi hanno provocato dolori a causa di insuccessi e prove non brillanti, ma verso nessuno c’è mai stato un sentimento di rifiuto, perfino nei confronti di Matteo Renzi, il peggiore di tutti: ha compiuto il tradimento massimo, dopo la sconfitta, uscirsene dal Partito e fondarne un altro con il dichiarato scopo di arrecare ulteriori danni e perdite elettorali al partito di cui è stato segretario. Renzi si può definire un “lanzichenecco” della politica, un soldato di ventura se vogliamo usare un termine più empatico. Dotato di una indiscussa abilità tattica, privo di visione, tantomeno di alcun freno inibitorio, disinvolto fino all’estremo di una recitazione politica, è un personaggio che nella fauna nostrana ha conquistato, approfittando del declinante panorama culturale e morale del Paese e soprattutto della politica, un indiscusso ruolo di protagonista mediatico, pur se privo di qualsiasi consenso elettorale.
Egli rappresenta la leggerezza del male, la simpatia della cattiveria, il fascino dell’irresolubile traditore. Nell’immaginario cinematografico è lo sposo che non si presenta alla cerimonia, quello che investe il pedone e scappa via, il simpatico che ti stringe la mano e con l’altra ti sfila il portafogli. E’ per questo che nonostante una parte consistente di gente normale lo detesti, diciamo pure che lo schifa e con lui non prenderebbe un caffè, c’è una quota di orfani che non resiste all’attrazione fatale del pericolo e vuole sfidare la sorte di rimetterlo in gioco.
Sergio Caserta
Mediattivista
Politica - 30 Agosto 2024
Renzi-Pd, c’è una quota di orfani dem che non resiste all’attrazione fatale
La sindrome di Stoccolma è quella particolare forma di innamoramento che le vittime nutrono nei riguardi dei propri aguzzini. Fu coniata all’indomani di un episodio avvenuto in Svezia, quando alcuni impiegati di banca sequestrati per sei giorni dai rapinatori, cominciarono a nutrire sentimenti di empatia verso i criminali, fino a testimoniare in loro favore al successivo processo. Risultarono affetti da una sintomatologia ansiosa, disturbi fisici e psicofisici e sintomi depressivi. E’ la stessa patologia che ha colpito, non da ora, una quota non irrilevante di dirigenti, militanti e simpatizzanti del Partito democratico nei confronti di Matteo Renzi che oggi si ripropone al partito e al cosiddetto “campo largo” come novello alleato, essendosi facilmente liberato di ogni imbarazzo o senso di colpa, se mai ne abbia sofferto, per tutti i danni arrecati con le sue scelte precedenti, allo stesso partito, al centro sinistra e al paese, se oggi ci ritroviamo, soprattutto grazie a lui, al peggior governo di destra che l’Italia abbia mai patito, dall’avvento della Repubblica parlamentare.
Occorre dire che il popolo democratico, anche quando si denominava “diessino” o “pidiessino” e in parte ancor prima quando era “comunista”, ha sempre nutrito nei riguardi del capo, il segretario, uno smisurato amore, che un tempo affondava le sue radici nella mitologia rivoluzionaria, nell’identificazione totale nel partito, nella sua ideologia e nell’ incrollabile certezza che avrebbe raggiunto la meta palingenetica del socialismo, della società liberata dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il paradiso in terra. Da allora tra crolli, fallimenti, delusioni, ripensamenti e revisioni, abiure e nuovi giuramenti sull’insostituibilità del capitalismo e della società liberale, ne è passata d’acqua sotto i ponti.
Cionondimeno alcuni riti del passato permangono: la fiducia smisurata nei confronti del segretario come il migliore possibile, nella condizione data. Mai e poi mai il popolo ora democratico ha mai abiurato la scelta compiuta anche dopo sonore sconfitte e clamorosi fallimenti. Il senso di appartenenza, dopo aver perso il cemento marxista e leninista, ha acquisito quello democratico ancor più forte, anche perché liberato dalla fastidiosa pratica dell’autocritica, in una situazione antropologico-culturale ben diversa, dal momento che la composizione del partito si è contaminata con le più svariate correnti politiche della Prima e della Seconda repubblica.
Tutti i segretari, da Togliatti in avanti, hanno ricevuto analogo trattamento: folle innamoramento testimoniato e registrato dagli abbracci calorosi con le cuoche davanti ai fornelli delle feste de l’Unità (che nel frattempo non c’è più). La foto è sempre la stessa da Togliatti (escludiamo Bordiga e Gramsci perché ai fornelli non sembra siano transitati), passando per Berlinguer, Natta, Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino, Franceschini (primo esponente proveniente dalla DC), Bersani, Epifani (socialista), poi Renzi (ex Dc anche lui), brevi intermezzi di Orfini e Martina ma sempre con foto d’obbligo, infine Zingaretti, Letta e dulcis in fundo Elly Schlein.
Non pochi hanno provocato dolori a causa di insuccessi e prove non brillanti, ma verso nessuno c’è mai stato un sentimento di rifiuto, perfino nei confronti di Matteo Renzi, il peggiore di tutti: ha compiuto il tradimento massimo, dopo la sconfitta, uscirsene dal Partito e fondarne un altro con il dichiarato scopo di arrecare ulteriori danni e perdite elettorali al partito di cui è stato segretario. Renzi si può definire un “lanzichenecco” della politica, un soldato di ventura se vogliamo usare un termine più empatico. Dotato di una indiscussa abilità tattica, privo di visione, tantomeno di alcun freno inibitorio, disinvolto fino all’estremo di una recitazione politica, è un personaggio che nella fauna nostrana ha conquistato, approfittando del declinante panorama culturale e morale del Paese e soprattutto della politica, un indiscusso ruolo di protagonista mediatico, pur se privo di qualsiasi consenso elettorale.
Egli rappresenta la leggerezza del male, la simpatia della cattiveria, il fascino dell’irresolubile traditore. Nell’immaginario cinematografico è lo sposo che non si presenta alla cerimonia, quello che investe il pedone e scappa via, il simpatico che ti stringe la mano e con l’altra ti sfila il portafogli. E’ per questo che nonostante una parte consistente di gente normale lo detesti, diciamo pure che lo schifa e con lui non prenderebbe un caffè, c’è una quota di orfani che non resiste all’attrazione fatale del pericolo e vuole sfidare la sorte di rimetterlo in gioco.
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Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - "Qual è il suo sogno quando era piccolo?". "Questa è una domanda interessante, perché i sogni cambiano nel corso della vita, con l'età. Quando ero piccolo mi sarebbe piaciuto fare il medico, poi ho cambiato idea. Quando si è a scuola, crescendo, si studia un po' tutto. C'è un momento in cui bisogna scegliere cosa fare. Alla fine ho scelto il diritto, la legge". Così il Capo dello Stato Sergio Mattarella rispondendo ai bambini della scuola de Amicis di Palermo. "Non ho mai sognato di fare il calciatore perché non ero per niente bravo", ha aggiunto sorridendo.
Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - "C'è molto di buono in questo paese, e questo mi conforta sempre". Così il Presidente della repubblica Sergio Mattarella ai bambini della scuola de Amicis di Palermo. "La fatica viene cancellate dal vedere cose buone che si vedono in Italia", ha detto.
Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - "Le piacerebbe fare un altro lavoro?". Questa è stata a prima domanda rivolta dagli alunni della scuola de Amicis di Palermo al Capo dello Stato Sergio Mattarella, in visita a sorpresa questa mattina nel plesso. "Io sono vecchio - ha risposto - il mio lavoro non è quello che faccio adesso, il mio lavoro abituale era quello di insegnare Diritto costituzionale all'Università, ma ormai non lo faccio più da tempo. Questo impegno che svolgo ora non è un lavoro, è un impegno per la nostra comunità nazionale. E' faticoso, però è interessante perché consente di stare in contatto con la nostra società, con tutti i cittadini di ogni origine, ed è una cosa di estremo interesse".
Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - "La musica, così come le iniziative sui libri, la cultura, sono il veicolo della vita, della convivenza, dell'apertura, della crescita personale e collettiva. E' quello che state facendo in questa scuola. Per me è davvero un motivo di soddisfazione essere qui e farvi i complimenti". Così il Capo dello Stato Sergio Mattarella incontrando i bambini della scuola De Amicis. Nel novembre scorso i bimbi della quinta C furono insultati mentre si esibivano davanti alla Feltrinelli, vestiti con abiti tradizionali africani. "Io ogni anno vado in una scuola per l'apertura dell'anno scolastico, ma non è frequente che vada in altre occasioni. Sono lietissimo di essere qui questa mattina- dice Mattarella- E ringraziarvi per quello che fate. Ringrazio i vostri insegnanti per quello che vi trasmettono e per come vi guidano nell'accrescimento culturale".
Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - "Voi siete una scuola che con la cultura, la musica, la lettura, e altre iniziative di crescita culturale, esprime i valori veri della convivenza nel nostro paese e nel mondo, che sempre è più unito, connesso, sempre più senza confini. Ed è una ricchezza crescere insieme, scambiarsi opinioni e abitudini, idee, ascoltare gli altri. fa crescere e voi lo state facendo, per questo complimenti". Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella si è rivolto ai bambini della scuola De Amicis di Palermo. Nel novembre scorso i bimbi della quinta c, molti dei quali di origini africane, furono insultati per strada mentre si esibivano in uno spettacolo vestiti con abiti tradizionali. "Cercate di trovare la vostra strada secondo le vostre inclinazioni, auguri a tutti voi e complimenti", ha aggiunto. "Sono lietissimo di incontrarvi in questo auditorium che ci accoglie, ragazzi. Ringrazio la dirigente scolastica e i collaboratori, gli insegnanti e li ringrazio per quanto fanno. Voglio fare i complimenti a voi, siete bravissimi. Avete eseguito magistralmente questi due pezzi", ha detto ancora il Capo dello Stato parlando ai ragazzi che si sono esibiti in un breve concerto. "Non è facile con tanti strumenti ad arco, a fiato, a percussione. Complimenti ai vostri insegnanti e a voi".
Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - “Vivere insieme, dialogare fa crescere. Rivolgo un sentito grazie ai vostri insegnanti. Insegnare è un’impresa difficile ma esaltante”. Lo ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, rivolgendosi agli alunni della scuola De Amicis-Da Vinci di Palermo dove si è recato a sorpresa questa mattina. I bambini, lo scorso novembre, furono insultati con epiteti razzisti davanti alla Feltrinelli di Palermo, dove si erano esibiti in uno spettacolo tradizionale. Molti dei bimbi della 5 c, visitata oggi da Mattarella, sono di origini africane. Oggi, tutt’altro che imbarazzati dalla presenza dell’ospite illustre, perché la visita è stata tenuta segreta dalla dirigente scolastica Giovanna Genco, i bambini hanno rivolto al Presidente alcune domande, consegnandogli dei doni. Sulla lavagna di classe spiccava un grande tricolore.
I bambini hanno poi scortato il presidente nell’aula magna dove l’orchestra dei ragazzi delle classi della secondaria ha suonato due brani di Giuseppe Verdi, il coro delle Zingarelle dalla Traviata e il 'Va, pensiero' dal Nabucco.
Palermo, 20 gen. (Adnkronos) - Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo avere incontrato i bambini della quinta C dell'Istituto De Amicis-Da Vinci di Palermo, che lo scorso novembre furono insultati in centro città per il colore della pelle, perché molti di loro sono di origini straniere, si è fermato in classe a rispondere alle loro domande. Sopra la lavagna in classe c'è una bandiera tricolore.