Sempre più intenzionata ad affrancarsi da un (ex) alleato tanto influente quanto ingombrante come la Russia, l’Armenia potrebbe iniziare a muoversi autonomamente su un fronte che sta particolarmente a cuore al Cremlino: quello dell’energia nucleare. A fine 2023 Erevan e Mosca hanno firmato un’intesa che prevede la modernizzazione e l’ampliamento dell’impianto nucleare di Metsamor, un’infrastruttura fondamentale per il soddisfacimento del fabbisogno energetico interno della piccola repubblica caucasica. Metsamor copre infatti circa un terzo dell’energia consumata annualmente sul territorio armeno e l’accordo vede in prima fila la società statale russa Rosatom. A distanza di pochi mesi da quel contratto, che dovrebbe comunque rimanere in piedi, l’Armenia sembra però intenzionata a guardare anche altrove per ampliare la propria capacità nucleare.
Secondo alcune indiscrezioni, infatti, gli armeni avrebbero aperto un canale di dialogo con gli Stati Uniti, trattative che potrebbero portare alla costruzione di un impianto ex novo sul territorio della repubblica caucasica. Alcune conferme dal fronte statunitense sono arrivate, con Washington che starebbe valutando l’opportunità e la fattibilità tecnico-legale per eventualmente giungere alla firma di un patto nucleare bilaterale con Erevan. Dal lato armeno, ci si è invece affrettati a sottolineare che sul tavolo, qualora si decidesse di procedere alla messa a terra di un nuovo reattore, vi sarebbe comunque la possibilità di affidare i lavori a partner diversi, tra cui la Cina – che recentemente ha approvato la realizzazione di 11 nuovi reattori nucleari sul proprio territorio, per un investimento record da 31 miliardi di dollari –, la Francia e la stessa Russia. In ogni caso, il dato politico rimane: l’Armenia ha voluto mandare un messaggio al Cremlino, non più l’unica opzione sul tavolo nemmeno quando si parla di dimensioni così strategiche come quella energetica, per di più di natura nucleare. A pesare agli occhi di Erevan è sia l’invasione russa dell’Ucraina sia l’atteggiamento tenuto da Mosca durante la crisi con l’Azerbaigian, che ha visto l’Armenia soccombere alla forza militare azera nel totale disinteresse del contingente russo presente nell’area e che in teoria sarebbe dovuto intervenire a difesa dell’alleato armeno.
La “macchia” provocata dalle mosse autonome dell’Armenia rischierebbe di rovinare una tela che è sostanzialmente intonsa per il presidente russo Vladimir Putin (nella foto con il direttore generale di Rosatom, Alexey Likhachev – 2023). Negli ultimi anni, infatti, attraverso Rosatom e ben prima del febbraio 2022, la Russia è stata in grado di diventare l’attore di gran lunga più importante a livello internazionale dal punto di vista del nucleare per utilizzi civili e attualmente copre una quota di mercato pari a circa il 50%, considerando sia la costruzione di centrali nucleari, la fornitura di reattori e combustibili, lo smantellamento e la gestione delle scorie. Si pensi che tutti i suoi concorrenti principali, come Cina, Francia, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti, valutati nel loro complesso arrivano a una quota di circa il 40% del mercato. La lista degli accordi siglati in giro per il mondo da Rosatom è molto lunga e composita e comprende paesi come l’India, l’Iran, l’Egitto, la Turchia, il Bangladesh e l’Uzbekistan.
A proposito di Asia Centrale, in Kazakistan è appena stato indetto un referendum che a inizio ottobre porterà i cittadini della repubblica a esprimere la loro opinione circa la possibilità che sul territorio kazaco venga realizzato il primo reattore nucleare. Un tema molto sensibile: durante il periodo sovietico il vastissimo territorio kazaco fu oggetto di continui test nucleari portati avanti nel poligono di Semipalatinsk, nella parte nord-orientale del paese, che causarono costi umani molto pesanti per la popolazione locale. Nonostante questo, però, considerata la spinta favorevole all’opzione nucleare esercitata da parte del presidente Kassym-Jomart Tokayev, difficilmente si arriverà a un risultato negativo. Se i giochi sembrano quindi fatti da questo punto di vista, apparentemente lo sono meno da quello relativo a quale controparte verrà scelta da Astana per lo sviluppo dell’infrastruttura. Sul tavolo al momento vi sarebbero quattro progetti, provenienti da Cina, Francia, Corea del Sud e Russia. Molte indiscrezioni fanno pensare però che Mosca abbia già strappato il favore delle autorità kazache. Guardando a quanto capillare è l’azione russa sul fronte nucleare, è evidente come Mosca negli ultimi abbia cercato di affiancare questa dimensione a quelle storicamente più radicate e relative al gas naturale e al petrolio. Con grande successo: nonostante le sanzioni che stanno colpendo la sua economia, la Russia è un esportatore di know-how nucleare che difficilmente trova rivali e attualmente è coinvolta in decine e decine di progetti in tutto il mondo. Dalla piccola Armenia potrebbe però arrivare un grande smacco.
Mondo
Schiaffo dell’Armenia a Putin, in vista patto con gli Usa sul nucleare. Ma nonostante le sanzioni la Russia resta il leader mondiale
Sempre più intenzionata ad affrancarsi da un (ex) alleato tanto influente quanto ingombrante come la Russia, l’Armenia potrebbe iniziare a muoversi autonomamente su un fronte che sta particolarmente a cuore al Cremlino: quello dell’energia nucleare. A fine 2023 Erevan e Mosca hanno firmato un’intesa che prevede la modernizzazione e l’ampliamento dell’impianto nucleare di Metsamor, un’infrastruttura fondamentale per il soddisfacimento del fabbisogno energetico interno della piccola repubblica caucasica. Metsamor copre infatti circa un terzo dell’energia consumata annualmente sul territorio armeno e l’accordo vede in prima fila la società statale russa Rosatom. A distanza di pochi mesi da quel contratto, che dovrebbe comunque rimanere in piedi, l’Armenia sembra però intenzionata a guardare anche altrove per ampliare la propria capacità nucleare.
Secondo alcune indiscrezioni, infatti, gli armeni avrebbero aperto un canale di dialogo con gli Stati Uniti, trattative che potrebbero portare alla costruzione di un impianto ex novo sul territorio della repubblica caucasica. Alcune conferme dal fronte statunitense sono arrivate, con Washington che starebbe valutando l’opportunità e la fattibilità tecnico-legale per eventualmente giungere alla firma di un patto nucleare bilaterale con Erevan. Dal lato armeno, ci si è invece affrettati a sottolineare che sul tavolo, qualora si decidesse di procedere alla messa a terra di un nuovo reattore, vi sarebbe comunque la possibilità di affidare i lavori a partner diversi, tra cui la Cina – che recentemente ha approvato la realizzazione di 11 nuovi reattori nucleari sul proprio territorio, per un investimento record da 31 miliardi di dollari –, la Francia e la stessa Russia. In ogni caso, il dato politico rimane: l’Armenia ha voluto mandare un messaggio al Cremlino, non più l’unica opzione sul tavolo nemmeno quando si parla di dimensioni così strategiche come quella energetica, per di più di natura nucleare. A pesare agli occhi di Erevan è sia l’invasione russa dell’Ucraina sia l’atteggiamento tenuto da Mosca durante la crisi con l’Azerbaigian, che ha visto l’Armenia soccombere alla forza militare azera nel totale disinteresse del contingente russo presente nell’area e che in teoria sarebbe dovuto intervenire a difesa dell’alleato armeno.
La “macchia” provocata dalle mosse autonome dell’Armenia rischierebbe di rovinare una tela che è sostanzialmente intonsa per il presidente russo Vladimir Putin (nella foto con il direttore generale di Rosatom, Alexey Likhachev – 2023). Negli ultimi anni, infatti, attraverso Rosatom e ben prima del febbraio 2022, la Russia è stata in grado di diventare l’attore di gran lunga più importante a livello internazionale dal punto di vista del nucleare per utilizzi civili e attualmente copre una quota di mercato pari a circa il 50%, considerando sia la costruzione di centrali nucleari, la fornitura di reattori e combustibili, lo smantellamento e la gestione delle scorie. Si pensi che tutti i suoi concorrenti principali, come Cina, Francia, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti, valutati nel loro complesso arrivano a una quota di circa il 40% del mercato. La lista degli accordi siglati in giro per il mondo da Rosatom è molto lunga e composita e comprende paesi come l’India, l’Iran, l’Egitto, la Turchia, il Bangladesh e l’Uzbekistan.
A proposito di Asia Centrale, in Kazakistan è appena stato indetto un referendum che a inizio ottobre porterà i cittadini della repubblica a esprimere la loro opinione circa la possibilità che sul territorio kazaco venga realizzato il primo reattore nucleare. Un tema molto sensibile: durante il periodo sovietico il vastissimo territorio kazaco fu oggetto di continui test nucleari portati avanti nel poligono di Semipalatinsk, nella parte nord-orientale del paese, che causarono costi umani molto pesanti per la popolazione locale. Nonostante questo, però, considerata la spinta favorevole all’opzione nucleare esercitata da parte del presidente Kassym-Jomart Tokayev, difficilmente si arriverà a un risultato negativo. Se i giochi sembrano quindi fatti da questo punto di vista, apparentemente lo sono meno da quello relativo a quale controparte verrà scelta da Astana per lo sviluppo dell’infrastruttura. Sul tavolo al momento vi sarebbero quattro progetti, provenienti da Cina, Francia, Corea del Sud e Russia. Molte indiscrezioni fanno pensare però che Mosca abbia già strappato il favore delle autorità kazache. Guardando a quanto capillare è l’azione russa sul fronte nucleare, è evidente come Mosca negli ultimi abbia cercato di affiancare questa dimensione a quelle storicamente più radicate e relative al gas naturale e al petrolio. Con grande successo: nonostante le sanzioni che stanno colpendo la sua economia, la Russia è un esportatore di know-how nucleare che difficilmente trova rivali e attualmente è coinvolta in decine e decine di progetti in tutto il mondo. Dalla piccola Armenia potrebbe però arrivare un grande smacco.
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Giustizia & Impunità
L’Italia arresta e poi scarcera il comandante libico accusato di torture dalla Corte dell’Aja. Tutti i dubbi sul ruolo del ministero di Nordio
Zonaeuro
Von der Leyen a Davos invoca l’unità europea e si appella a Trump: ‘Negoziamo, rompere non conviene’. Zelensky: ‘Ue si dia una mossa, alzi la voce con gli Usa’
Politica
Ucraina, M5s e Avs: “Stop all’invio di armi, no agli attacchi in Russia”. Ma Pd: “Rispettare impegni presi”
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - "Perchè il capo della polizia giudiziaria libica Almasri arrestato sabato a Torino, per la Corte Penale Internazionale colpevole di crimini di guerra e contro la dignità umana, è stato scarcerato e rimandato in Libia? È una pagina inquietante, il governo deve spiegazioni". Così su X Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie nella segreteria nazionale del Pd.
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - "Meloni non doveva fare la guerra in tutto il globo terracqueo ai trafficanti di esseri umani e arrestarli? Oggi invece ha liberato il trafficante e torturatore libico Almasri Habish e lo ha rimandato in Libia, nonostante un mandato di arresto della Corte penale internazionale. Che vergogna Giorgia Meloni". Lo dichiara il coportavoce nazionale di Europa Verde e deputato di AVS Angelo Bonelli.
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - "Rimaniamo in attesa della conferma ufficiale e della motivazione che ha portato alla scarcerazione del trafficante di esseri umani libico arrestato nei giorni scorsi a Torino". Lo afferma Nicola Fratoianni di Avs.
"Naturalmente se questo personaggio potrà lasciare tranquillamente l’Italia invece di essere consegnato alla Corte Penale Internazionale per essere giudicato sarà chiaro a tutti - alla CPI, all’Interpol, alla comunità internazionale e ai cittadini del nostro Paese - che l’attuale governo italiano, Meloni, Nordio, Piantedosi proteggono i trafficanti di esseri umani e i torturatori libici".
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - "È gravissimo che il comandante della polizia giudiziaria libica Najeem Osema Almasri Habish, arrestato domenica scorsa a Torino, sia stato rilasciato e rinviato in Libia, nonostante ci sia un mandato d’arresto della Corte penale internazionale. Presentiamo una interrogazione urgente al ministro Nordio affinché venga a riferire in aula già nelle prossime ore”. Lo afferma il segretario di Più Europa Riccardo Magi.
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - "La vicenda della scarcerazione del generale Almasri è gravissima. Domani mattina chiederemo conto al Ministro Nordio in aula di questa scelta che a noi sembra assurda. Cosa c’è sotto?". Così Matteo Renzi sui social.
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - “Per il ministro Salvini, dal primo di gennaio i ritardi ferroviari sono tutta colpa dell'eversione e del sabotaggio. Peccato che i dati dell’ultimo trimestre, senza catene sulla linea, senza sabotaggi, senza esposti, dicano che il 72 % dei treni ad alta velocità è arrivato in ritardo, che il Frecciargento Bari - Roma non è mai arrivato in orario e che il Frecciarossa Reggio Calabria - Milano ha avuto un ritardo medio di 46 minuti, con picchi di 468 minuti". Lo ha dichiarato Matteo Richetti, capogruppo di Azione alla Camera, rispondendo all’informativa del ministro Salvini sul trasporto ferroviario.
"I rimborsi complessivi dovuti a Trenitalia per ritardi dei treni sono superiori a 100 milioni di euro l'anno: circa 8 milioni e mezzo di euro al mese. Davanti a questa situazione emergenziale, ancora una volta il Ministro evita di discutere in aula la sua strategia dei trasporti. Avremmo voluto sapere dal Ministro se conferma la scelta di aumentare l’offerta dell’alta velocità, atteso il fatto che questo aumento contrae la possibilità di manutenzione ordinaria e quindi la prevenzione dei guasti".
"Soprattutto perché, se su quella stessa rete si pensa di mettere un terzo operatore, l'usura sarà ulteriormente esasperata. È su questo che avevamo chiesto un'informativa del Ministro: sui ritardi, sui guasti, sui disagi, sulle strategie per le politiche del trasporto pubblico in Italia, non sugli esposti sacrosanti. Ancora un’occasione perduta”.
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - "Giorgia Meloni voleva inseguire i trafficanti di esseri umani in tutto il globo terracqueo, ne era stato arrestato uno libico in Italia e invece di dare seguito alle richieste della Corte penale internazionale che lo accusa di crimini di guerra e contro la dignità umana, lo hanno rimandato impunito in Libia. Il governo chiarisca immediatamente perché Almasri è stato scarcerato e lasciato andare". Così la segretaria del Pd Elly Schlein