di Claudia De Martino
Gli attacchi simultanei di martedì e mercoledì pomeriggio, che hanno azionato da remoto più di mille ordigni esplosivi installati dentro a cercapersone e radio utilizzati da miliziani di Hezbollah, colpendo però (tra i 37 morti e i 4000 feriti, di cui circa 300 in condizioni critiche) anche civili inermi e bambini e ulteriormente aggravati dalla provocazione del volo radente dei jet israeliani sulla capitale Beirut durante il discorso del Segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah, sono senza appello un’azione terroristica che la comunità internazionale dovrebbe unanimemente condannare. Tale attacco interviene in un Paese già compromesso, in piena crisi economica dal 2019, le cui strutture sanitarie erano già al collasso.
I giornali israeliani affermano che l’attacco sia scattato prima di quanto non preventivato, in quanto alcuni degli ordigni avevano destato sospetto in alcuni miliziani di Hezbollah, con il rischio che l’esplosivo venisse scoperto e disinnescato prima di entrare in azione. Tuttavia, pur ammettendo che la tempistica dell’attacco possa essere stata il frutto di una contingenza, è chiaro che il piano fosse compiere un attentato terroristico su larga scala allo scopo di innestare una guerra, comportando simultaneamente l’uccisione, il ferimento e l’identificazione di molti miliziani. L’obiettivo innegabile di Israele era dunque quello di aprire un nuovo fronte, senza peraltro aver chiuso il primo, dove pure l’operazione militare è stata dichiarata “vinta” dal Ministro della difesa Gallant.
I difensori di Israele sostengono che esso abbia le proprie ottime ragioni di alimentare il conflitto: per il Paese è infatti impossibile tornare alla normalità senza permettere il rientro a nord dei circa 80mila cittadini evacuati, abitanti originari di città come Kiryat Shmona e Metula, che dal 7 ottobre non vi hanno fatto più ritorno in quanto oggetto di quotidiano tiro di razzi da parte di Hezbollah. Secondo l’ultimo sondaggio (Israeli Voice Index, sett.2024) condotto dall’Idi (Istituto di Democrazia Israeliano), il 67% degli ebrei ritiene sia necessaria un’azione militare contro Hezbollah, ovvero un’incursione di terra in profondità nel territorio libanese che possa assestare un colpo fatale all’organizzazione. Vi è dunque un chiaro consenso all’apertura di un secondo fronte a nord che possa creare una “zona cuscinetto” tra il Libano e Israele, costringendo il “Partito di dio” a trasferirsi oltre il fiume Litani, 30 km a nord dell’attuale confine.
Tuttavia Hezbollah, che a detta del suo Segretario generale Nasrallah è intervenuto nella guerra a Gaza per sostenere l’Asse della resistenza, ovvero Hamas, nella sua guerra di difesa contro Israele, pur avendo riportando sensibili perdite conta ancora su circa 20mila miliziani attivi e almeno altrettanti riservisti, oltre che su un arsenale di oltre 200mila missili, anche a lunga gittata (200-300 km), droni Rased, batterie anticarro e antimissile, tunnel e unità speciali, come le forze Radwan, specializzate nell’infiltrazione in territorio israeliano. Un esercito molto più potente di quello di Hamas, che pure Tsahal ha faticato a dominare in oltre 11 mesi di guerra. Se ad oggi Hezbollah aveva rifiutato di innescare una guerra aperta in ottemperanza alle istruzioni iraniane e per timore delle ripercussioni politiche interne, da domani troverà maggiore consenso nell’opinione pubblica, avendo l’attacco ricompattato la società libanese in funzione anti-israeliana.
Nessuna voce critica né in Israele né in Occidente sembra essersi levata contro l’utilizzo spregiudicato di mezzi non leciti in una guerra che pure, fino ad oggi, aveva avuto sue determinate regole di ingaggio – schermaglie limitate alla striscia oltre il confine -, che Israele ha violato senza previa consultazione con gli Usa. Stati Uniti che escono come i veri sconfitti da questa fase di negoziati abortiti, parallelamente condotti in Libano dall’inviato speciale Amos Hochstein e in Qatar dalla Cia e dal Segretario di stato Anthony Blinken.
Se il fronte nord si scalda, al sud, nella Striscia di Gaza, la guerra non cessa, nonostante i miliziani di Hamas siano ormai ridotti a ranghi esigui e dopo oltre 41.252 morti da parte palestinese. Tuttavia Hamas non accenna a deporre le armi, con il suo capo politico Khaled Mashal che ha dichiarato, in una recente intervista rilasciata al New York Times lo scorso 17 settembre, che l’unico obiettivo dell’organizzazione sia “vincere sopravvivendo”. Mashal sostiene, infatti, che prima del 7 ottobre la Striscia di Gaza “stesse morendo di una morte lenta” a causa dell’assedio israeliano, senza però ammettere che fosse Hamas a sperimentare una caduta libera nei consensi e che l’attacco contro Israele sia stato pianificato proprio allo scopo di far riguadagnare terreno all’organizzazione, in pieno stallo politico, grazie alla lotta armata.
Nelle parole di Mashal, oggi Hamas sarebbe pronta a rinascere come una fenice, essendo stata decapitata ma non sconfitta ed essendo ormai riconosciuta anche dagli Stati Uniti come l’unico interlocutore possibile per il rilascio degli ostaggi. Ostaggi di cui, dei 255 iniziali, 101 rimarrebbero detenuti nella Striscia, di cui probabilmente solo 66 vivi, utilizzati da Hamas come scudi umani, pronti ad essere uccisi a sangue freddo quando le unità di Tsahal si avvicinano ai loro nascondigli. Hamas ritiene, in definitiva, di avere ancora un futuro politico a Gaza a dispetto delle sofferenze inflitte alla sua stessa popolazione, come se ormai la sua esistenza rappresentasse un fine in sé e non dipendesse affatto dal consenso politico.
Infine, nella brutalizzazione generale che ogni guerra prolungata comporta, emerge anche la notizia che i richiedenti asilo africani in Israele siano oggetto di attenzioni da parte dell’Idf per essere arruolati come “carne da cannone” a Gaza, delineando così lo scenario grottesco di una guerra insensata tra gli ultimi oltre ogni barriera ideologica.
Come affermava il filosofo Yeshayahu Leibovitz nel 1968, l’occupazione permanente dei Territori palestinesi ha finito per trasformare l’anima d’Israele in uno Stato ossessionato dalla sicurezza ma privo di strategia politica, ora anche sponsor del terrorismo, che si riflette nel suo nemico storico, Hamas, in preda ad una logica massimalista che aspira alla guerra per la guerra, e nella creazione di sempre nuovi nemici, come Hezbollah, con cui non vi è alcuna possibilità di contatto oltre alla violenza.
Se è proprio vero che in un qualsiasi conflitto non è facile distinguere i giusti dai loro avversari, oggi, nell’attuale guerra a Gaza, di “giusti” semplicemente non ve ne sembrano essere.
Diwan
Politica, economia e cultura del Grande Mediterraneo
Mondo - 20 Settembre 2024
Gli attacchi di Israele a Hezbollah sono azioni terroristiche: non ci sono giusti in questa guerra
di Claudia De Martino
Gli attacchi simultanei di martedì e mercoledì pomeriggio, che hanno azionato da remoto più di mille ordigni esplosivi installati dentro a cercapersone e radio utilizzati da miliziani di Hezbollah, colpendo però (tra i 37 morti e i 4000 feriti, di cui circa 300 in condizioni critiche) anche civili inermi e bambini e ulteriormente aggravati dalla provocazione del volo radente dei jet israeliani sulla capitale Beirut durante il discorso del Segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah, sono senza appello un’azione terroristica che la comunità internazionale dovrebbe unanimemente condannare. Tale attacco interviene in un Paese già compromesso, in piena crisi economica dal 2019, le cui strutture sanitarie erano già al collasso.
I giornali israeliani affermano che l’attacco sia scattato prima di quanto non preventivato, in quanto alcuni degli ordigni avevano destato sospetto in alcuni miliziani di Hezbollah, con il rischio che l’esplosivo venisse scoperto e disinnescato prima di entrare in azione. Tuttavia, pur ammettendo che la tempistica dell’attacco possa essere stata il frutto di una contingenza, è chiaro che il piano fosse compiere un attentato terroristico su larga scala allo scopo di innestare una guerra, comportando simultaneamente l’uccisione, il ferimento e l’identificazione di molti miliziani. L’obiettivo innegabile di Israele era dunque quello di aprire un nuovo fronte, senza peraltro aver chiuso il primo, dove pure l’operazione militare è stata dichiarata “vinta” dal Ministro della difesa Gallant.
I difensori di Israele sostengono che esso abbia le proprie ottime ragioni di alimentare il conflitto: per il Paese è infatti impossibile tornare alla normalità senza permettere il rientro a nord dei circa 80mila cittadini evacuati, abitanti originari di città come Kiryat Shmona e Metula, che dal 7 ottobre non vi hanno fatto più ritorno in quanto oggetto di quotidiano tiro di razzi da parte di Hezbollah. Secondo l’ultimo sondaggio (Israeli Voice Index, sett.2024) condotto dall’Idi (Istituto di Democrazia Israeliano), il 67% degli ebrei ritiene sia necessaria un’azione militare contro Hezbollah, ovvero un’incursione di terra in profondità nel territorio libanese che possa assestare un colpo fatale all’organizzazione. Vi è dunque un chiaro consenso all’apertura di un secondo fronte a nord che possa creare una “zona cuscinetto” tra il Libano e Israele, costringendo il “Partito di dio” a trasferirsi oltre il fiume Litani, 30 km a nord dell’attuale confine.
Tuttavia Hezbollah, che a detta del suo Segretario generale Nasrallah è intervenuto nella guerra a Gaza per sostenere l’Asse della resistenza, ovvero Hamas, nella sua guerra di difesa contro Israele, pur avendo riportando sensibili perdite conta ancora su circa 20mila miliziani attivi e almeno altrettanti riservisti, oltre che su un arsenale di oltre 200mila missili, anche a lunga gittata (200-300 km), droni Rased, batterie anticarro e antimissile, tunnel e unità speciali, come le forze Radwan, specializzate nell’infiltrazione in territorio israeliano. Un esercito molto più potente di quello di Hamas, che pure Tsahal ha faticato a dominare in oltre 11 mesi di guerra. Se ad oggi Hezbollah aveva rifiutato di innescare una guerra aperta in ottemperanza alle istruzioni iraniane e per timore delle ripercussioni politiche interne, da domani troverà maggiore consenso nell’opinione pubblica, avendo l’attacco ricompattato la società libanese in funzione anti-israeliana.
Nessuna voce critica né in Israele né in Occidente sembra essersi levata contro l’utilizzo spregiudicato di mezzi non leciti in una guerra che pure, fino ad oggi, aveva avuto sue determinate regole di ingaggio – schermaglie limitate alla striscia oltre il confine -, che Israele ha violato senza previa consultazione con gli Usa. Stati Uniti che escono come i veri sconfitti da questa fase di negoziati abortiti, parallelamente condotti in Libano dall’inviato speciale Amos Hochstein e in Qatar dalla Cia e dal Segretario di stato Anthony Blinken.
Se il fronte nord si scalda, al sud, nella Striscia di Gaza, la guerra non cessa, nonostante i miliziani di Hamas siano ormai ridotti a ranghi esigui e dopo oltre 41.252 morti da parte palestinese. Tuttavia Hamas non accenna a deporre le armi, con il suo capo politico Khaled Mashal che ha dichiarato, in una recente intervista rilasciata al New York Times lo scorso 17 settembre, che l’unico obiettivo dell’organizzazione sia “vincere sopravvivendo”. Mashal sostiene, infatti, che prima del 7 ottobre la Striscia di Gaza “stesse morendo di una morte lenta” a causa dell’assedio israeliano, senza però ammettere che fosse Hamas a sperimentare una caduta libera nei consensi e che l’attacco contro Israele sia stato pianificato proprio allo scopo di far riguadagnare terreno all’organizzazione, in pieno stallo politico, grazie alla lotta armata.
Nelle parole di Mashal, oggi Hamas sarebbe pronta a rinascere come una fenice, essendo stata decapitata ma non sconfitta ed essendo ormai riconosciuta anche dagli Stati Uniti come l’unico interlocutore possibile per il rilascio degli ostaggi. Ostaggi di cui, dei 255 iniziali, 101 rimarrebbero detenuti nella Striscia, di cui probabilmente solo 66 vivi, utilizzati da Hamas come scudi umani, pronti ad essere uccisi a sangue freddo quando le unità di Tsahal si avvicinano ai loro nascondigli. Hamas ritiene, in definitiva, di avere ancora un futuro politico a Gaza a dispetto delle sofferenze inflitte alla sua stessa popolazione, come se ormai la sua esistenza rappresentasse un fine in sé e non dipendesse affatto dal consenso politico.
Infine, nella brutalizzazione generale che ogni guerra prolungata comporta, emerge anche la notizia che i richiedenti asilo africani in Israele siano oggetto di attenzioni da parte dell’Idf per essere arruolati come “carne da cannone” a Gaza, delineando così lo scenario grottesco di una guerra insensata tra gli ultimi oltre ogni barriera ideologica.
Come affermava il filosofo Yeshayahu Leibovitz nel 1968, l’occupazione permanente dei Territori palestinesi ha finito per trasformare l’anima d’Israele in uno Stato ossessionato dalla sicurezza ma privo di strategia politica, ora anche sponsor del terrorismo, che si riflette nel suo nemico storico, Hamas, in preda ad una logica massimalista che aspira alla guerra per la guerra, e nella creazione di sempre nuovi nemici, come Hezbollah, con cui non vi è alcuna possibilità di contatto oltre alla violenza.
Se è proprio vero che in un qualsiasi conflitto non è facile distinguere i giusti dai loro avversari, oggi, nell’attuale guerra a Gaza, di “giusti” semplicemente non ve ne sembrano essere.
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(Adnkronos) - "Il Governo Meloni -ha affermato Marco Grimaldi, vicecapogruppo di AVS- viola un mandato della Corte e si macchia di collaborazionismo. L’ammissione è poi arrivata: figura troppo importante per Tripoli e per Washington. La verità è che il Governo libico vi avrà intimato di liberarlo. Forse non ne ha neanche avuto bisogno. Vergognatevi".
"Il Governo -ha chiesto Benedetto Della Vedova, di Più Europa- chiarisca immediatamente chi ha assicurato al generale Almasri di poter venire indisturbato in Italia nonostante il mandato di cattura della Corte penale internazionale: con quali coperture è entrato nel nostro Paese? Con il permesso di chi, con quali guarentigie?"
"In Libia -ha sottolineato Paolo Ciani, del Pd- esistono veri e propri 'lager', come li ha definiti Papa Francesco, e la persona liberata ieri è ritenuta uno dei principali responsabili degli orrori che vi si compiono. È indispensabile comprendere per quale motivo Almasri fosse in Italia e, soprattutto, perché sia stato rimesso in libertà con tale urgenza, nonostante i mandati di cattura internazionale. Questa decisione, che rappresenta una violazione degli impegni assunti dal nostro Paese nei confronti della Corte penale internazionale, appare come il risultato di una scelta politica sulla quale è indispensabile garantire piena trasparenza. Il Governo ha il dovere di fornire spiegazioni chiare e dettagliate per ristabilire la credibilità dell’azione dello Stato e riaffermare l’impegno dell’Italia verso la giustizia internazionale”.
Messina, 22 gen. (Adnkronos) - "E’ un percorso straordinario quello del professore e poi Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un uomo che ha portato avanti un impegno infaticabile l’esaltazione dei valori democratici e le promozione del bene comune”. Così, la rettrice dell'Università di Messina Giovanna Spatari a margine dell’inaugurazione dell’anno accademico. A breve è atteso l'arrivo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “Quando un presidente della Repubblica fa visita ad un ateneo questo rappresenta il legame delle istituzioni al mondo della Cultura che poi è un volano di crescita economica e sociale per il territorio- dice la rettrice- Direi che Messina nello spirito della Conferenza di Messina è sempre più punto di riferimento nell’Area Euro Mediterranea come testimoniato dalla presenza di molti giovani che decidono di frequentare questo Ateneo. Intanto per il prossimo anno l’Università consolida con oltre 25 mila studenti la sua posizione. Quest’anno sono stati aperti nuovi corsi di laurea alcuni dei quali in lingua inglese ci sforzeremo di ampliare l’offerta formativa sempre con uno sguardo al territorio. Agli studenti auguro che siano artifici di un cambiamento e che siano capaci di trovare risposte per costruire il loro futuro”.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - “Per invertire la china del declino americano Trump cambierà la declinazione dell’America First: altro che isolazionismo, avrà un rinnovato protagonismo sullo scenario internazionale che farà bene a tutto l’Occidente”. Così Stefania Craxi, presidente della commissione Esteri e Difesa del Senato, commenta con Bee Magazine, giornale online del gruppo The Skill, il discorso di insediamento del secondo mandato di Donald Trump.
A preoccuparla “l’inconsistenza europea, la dilagante corrente di pensiero per cui dovremmo coltivare il rapporto atlantico a seconda delle Amministrazioni. Un approccio sbagliato, che può danneggiare l’Europa. Servono più pragmatismo e molta meno retorica e ideologia”.
Quanto ai dazi "l’Italia non ha nulla da temere, anche in passato Trump ha già dimostrato un’attenzione speciale per il nostro Paese. Ci sono le condizioni per soluzioni win-win. Piuttosto, penso che l’Unione e gli Stati membri dovrebbero porre a loro volta il tema del riequilibrio della bilancia commerciale a realtà come la Cina. Trump farà uno sforzo per far cessare i conflitti principali ma la vera sfida è creare le basi per un nuovo ordine internazionale”.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - "La premier Meloni deve venire urgentemente" in Aula "a riferire" sulla vicenda che ha coinvolto Njeem Osama Elmasry, noto come Almasri. Lo hanno chiesto tutte le opposizioni (AVS, Pd, Più Europa, Italia viva, M5S e Azione) alla Camera, prima delle comunicazioni alla Camera del ministro della Difesa, Guido Crosetto, sull'invio delle armi all'Ucraina.
Dortmund, 22 gen. (Adnkronos) - Il Borussia Dortmund e Nuri Sahin si separano. Il club tedesco "ha esonerato il suo allenatore dopo la deludente sconfitta per 1-2 in Champions League martedì sera in casa del Bologna". Lars Ricken, amministratore delegato sportivo del BVB, ha sottolineato: “Apprezziamo molto Nuri Sahin e il suo lavoro, volevamo una lunga collaborazione e speravamo fino alla fine di raggiungere insieme una svolta. Dopo quattro sconfitte di fila, dovute a una sola vittoria nelle ultime nove partite e poiché attualmente siamo decimi nella classifica della Bundesliga, purtroppo abbiamo perso la fiducia nella possibilità di raggiungere i nostri obiettivi sportivi nell'attuale stagione. Questa decisione mi fa male anche a livello personale, ma non era più evitabile dopo la partita di Bologna”.
“Purtroppo in questo momento non siamo riusciti a rendere giustizia alle ambizioni sportive del Borussia Dortmund in questa stagione. Auguro il meglio a questo club speciale”, afferma Nuri Sahin. Il Borussia Dortmund informerà tempestivamente chi andrà in panchina sabato prossimo nella Bundesliga contro l'SV Werder Bremen.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - “Un rinvio a giudizio non vuol dire nulla. Aspettiamo che la giustizia si esprima. L’ho detto per nemici storici politici, continuo a dirlo a tutti, uno è innocente sino al terzo grado di giudizio. Lo dico anche per Daniela Santanchè”. Così il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ai microfoni di 'Agorà' su Raitre.
Messina, 22 gen. (Adnkronos) - C'è attesa a Messina per l'arrivo del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che oggi parteciperà all'inaugurazione dell'anno accademico e nelll'ambito della cerimonia gli sarà conferito dalla rettrice Giovanna Spatari, il Dottorato honoris causa in “Scienze delle pubbliche amministrazioni”. Dopo l’intervento della rettrice, interverrà il rappresentante del personale tecnico-amministrativo, Domenico Quartarone, a cui farà seguito l'intervento della rappresentante degli studenti, Chiara Furlan. Nel corso del conferimento del Dottorato honoris causa, la “laudatio” sarà affidata al presidente emerito della Corte Costituzionale, il prof. Gaetano Silvestri, mentre la motivazione del conferimento sarà enunciata dalla professoressa Daniela Novarese, ordinaria di Storia delle Istituzioni politiche. Successivamente, il presidente Mattarella terrà la sua “lectio doctoralis”. L’inaugurazione dell’Anno Accademico è stata inserita in un programma articolato, intitolato “Messina Europa, 1955-2025”. La presenza del Capo dello Stato – afferma la rettrice Giovanna Spatari "è anche lo spunto per un momento di approfondimento, confronto e riflessione, all’interno di una tre giorni iniziata lo scorso 20 gennaio".