Cristiano Godano (Marlene Kuntz): “Sanremo è una bolla in cui si parla solo d’amore, i miei colleghi ignavi rispetto al clima”

“Sanremo da sempre rappresenta un’oasi di disimpegno e leggerezza, e se c’è pesantezza è quella del cuore. Ma in un contesto sociale come quello attuale, con le guerre che scalpitano, il riscaldamento globale che ci sta mettendo in serissima difficoltà e l’arrivo di estremismi temibili, diventa un ‘ambaradan’ per certi versi grottesco, sicuramente curioso, che fa finta che il mondo là fuori non esista. Chiariamo, ho fatto tantissime canzoni legate al sentimento e all’amore, ma trovo emblematico che su ventinove canzoni forse solo Willie Peyote abbia inserito una problematica di natura diversa. E Lucio Corsi ha d’altronde portato una deliziosa gemma di purezza aliena. Per il resto, in ambito linguistico, sono 25 i pezzi il cui tema è l’amore”. Cristiano Godano, cantante e autore nei Marlene Kuntz, attualmente in uscita – 4 aprile – col suo secondo lavoro solista, affronta il tema del rapporto tra musica e cambiamento climatico. Lo fa prendendo parte da protagonista al convegno “Musica sostenibile”, una tre giorni di incontri, talk, tavole rotonde e performance dedicata alle pratiche di sostenibilità della musica, che si terrà dal 27 febbraio prossimo preso il Teatro Palladium di Roma. L’evento è organizzato dalla rete Ecoritmi – composta da Fondazione Roma Tre Teatro Palladium, ETICAE – Stewardship in Action e Margine Operativo, in collaborazione con ADUIM (Associazione fra Docenti Universitari Italiani di Musica), dove, come spiega il presidente Luca Aversano, già esiste un gruppo di ricerca “che si occupa analizzare le interazioni tra musica, ecologia e sostenibilità, di valorizzare il patrimonio sonoro naturale, di promuovere pratiche ecosostenibili nella produzione e nella fruizione musicale”.
Cristiano Godano, secondo lei perché la musica parla così poco di crisi climatica?
Non mi è facile parlare dei miei colleghi sottolineandone qualche aspetto presunto negativo: per cercare una risposta plausibile e non giudicatrice posso forse dire che la maggior parte di loro pare avere questa attitudine tra l’indifferenza, la non curanza e l’ignavia, comuni a una larga fetta di popolazione. Non dico che neghino la crisi, perché non lo so, ma restano intrappolati in una sorta di inazione. Lo scrittore Amitav Ghosh scrisse un libro, La grande cecità, il cui obiettivo era chiedersi per quali motivi il mondo dell’arte non producesse opere che contemplassero questo tema. È dunque un fatto.
All’estero è diverso?
Quando Thom Yorke venne a suonare a Roma ebbi l’occasione di intrattenermi in una breve conversazione di pochi minuti e mi parlò del movimento di Extinction Rebellion, che conoscevo. I Radiohead hanno spesso cercato di compiere azioni virtuose nei loro live. I Massive Attack hanno fatto un tour radicalmente green nel 2024. In apparenza però mi sembrano episodi isolati, per quanto io sia poco informato, e d’altronde dal punto di vista economico un tour particolarmente virtuoso rischia di non essere… sostenibile. Ma c’è un altro motivo secondo me per cui la musica non parla di clima, almeno in Italia.
Quale?
Purtroppo il tema del riscaldamento climatico è diventato politico e lo si usa anche in ambito propagandistico: detto in maniera sintetica, chi sta a destra nega o minimizza, chi sta a sinistra pensa che la crisi esista, e questa divisione potrebbe essere un fattore di inibizione per molti artisti desiderosi di non disaffezionare una parte del proprio pubblico. È l’ignavia di cui parlavo prima, in linea di massima direi deplorevole, visto che il problema è gigantesco e riguarda tutti. Il paradosso sta nel fatto che il tema del riscaldamento climatico sia diventato divisivo: è sinistramente grottesco, perché la catastrofe quando arriva non guarda né destra né a sinistra.
A suo avviso la musica dovrebbe impegnarsi su questo fronte?
Non mi spingo a dire che l’artista dovrebbe fare questa o quella cosa, è una opzione che si può assumere per se stessi oppure no, non condanno insomma chi non ha una attitudine di impegno civico, politico. Io credo all’arte come a un luogo di espressione della creatività di una persona, che può dirigersi ovunque. Tuttavia chi non affrontasse questo tema scomodo semplicemente per non andare incontro a divisioni, ecco, lo troverei spiacevole. Se cioè questa è una motivazione per non parlare di cose scomode, c’è una responsabilità.
Eppure la musica potrebbe essere un linguaggio emotivo per veicolare alcuni contenuti.
Sì, e infatti a me sembra che la scienza veda di buon grado l’affiancamento dell’arte, la scienza sta cercando in tutti i modi di avvisare l’umanità da molti anni, ma probabilmente gli manca qualcosa nel tipo di linguaggio utilizzato. Quello scientifico forse non è purtroppo sufficiente ad allertare le persone. Per questo faccio questo spettacolo – “Canto d’acqua” – con Telmo Pievani, scienziato e divulgatore, in giro per l’Italia: lui considera importante la commistione dei due linguaggi, la sostanza della scienza e l’affabulazione dell’arte e della letteratura. Credo che la narrazione sia una delle cose più potenti per fare reagire le emotività umana e che la letteratura possa avere qualche chance in più per il suo registro suggestivo e la sua capacità di emozionare le persone.
Tornando alla musica sostenibile, un problema sono anche gli eventi in ecosistemi fragili, come spiagge, o archeologici, come il Circo Massimo a Roma?
Ovviamente se si palesa il rischio di un’operazione che sa di greenwashing diventa tutto discutibile, ma nello specifico dei paragoni da lei proposti non sono in grado di andare oltre il chiacchiericcio, sicuramente giusto, che c’è stato. Penso comunque che possa essere più utile che gli artisti si spendano a livello intellettuale per contribuire alla diffusione di una certa consapevolezza. Credo che una possibile speranza di arginamento, se non di soluzione, del problema passi appunto per una consapevolezza diffusa, visto che arginare questo problema vuol dire comunque andare incontro a sacrifici. Quindi finché non c’è questa consapevolezza le persone si ritraggono, non capiscono, sono impaurite, e se toccate nel vivo dei sacrifici, e se non rese consapevoli, si arrabbiano (io stesso sarò teso quando dovrò affrontare certi sacrifici). E qui si innesta il problema dei negazionismi.
Lei ha spesso preso la parola contro il negazionismo climatico. Perché è così preoccupante?
Il negazionismo è metodo utilizzato per impedire che la gente prenda coscienza che questo problema c’è. Finché il negazionismo prolifera (e qui si innesta un tema che mi sta molto a cuore: la propagazione delle fake-news in assenza di regole e controlli, come piace ai capitalisti della sorveglianza che stanno imbrigliando il mondo) troppa gente non è in grado di accettare il cambiamento. Purtroppo, e in questo senso mi sento disilluso e frustrato, la crisi climatica non è una preoccupazione nella testa dei politici, temo a destra come a sinistra, e questo disinteresse non può che far male. Uno dei “re” del mondo, Trump, nega che il cambiamento climatico esista, e affinché la cosa sia chiara a tutti sta facendo epurazioni sistematiche nell’ambito della comunità scientifica. Questo rende ancora più complessa e tragica la questione.