Si chiama Mask tasking ed è una nuova tendenza, per così dire, che sta riscontrando favore nella GenZ: si tratta di fingere di essere oberati di cose da fare, e così anche di essere in piena fase produttiva, senza in realtà fare nulla. La motivazione starebbe nell’abbandono forzato dello smart working in modo progressivo dopo la fine della pandemia. Della serie, “mi fai tornare in ufficio? Io fingo di lavorare” (ne abbiamo parlato qui). E se The Standard ha riportato una serie di testimonianze su come i ragazzi della GenZ ‘rubacchiano’ tempo al lavoro ecco che ora si parla di un altro trend, il Revenge quitting. Protagonisti sono sempre loro, i nati tra il 1995 e il 2012. Di cosa si tratta? Lo spiega il content creator Ben Askins, ripreso dal New York Post: “È la nuova abitudine di dimettersi nel momento più scomodo possibile per mettere in difficoltà l’azienda. È una forma di protesta contro quello che viene percepito come un trattamento ingiusto”, ha spiegato il tiktoker da 371.000 follower.
La faccenda è più diffusa in Paesi dove c’è un’alta flessibilità del lavoro, per esempio l’Australia: proprio da lì arriva la storia di Grace Sarah che ha lasciato improvvisamente il suo lavoro nel settore immobiliare da 1.800 dollari a settimana per pura frustrazione. Anziché dare il classico preavviso di due settimane, ha mollato tutto all’improvviso, senza risparmi da parte o un altro impiego all’orizzonte, convinta di ritrovare preso un posto.
E l’Anchorage Daily News ha raccontato la storia di Adam che ha deciso di licenziarsi ma nel suo ultimo giorno di lavoro ha ripreso tutte le violazioni sulla sicurezza e poi ha postato il video online. Multe per l’azienda. La motivazione che muove questi gesti? Frustrazione. Secondo il Worklife Trends 2025 Report di Glassdoor, il 65% dei dipendenti si sente “intrappolato” in un lavoro tossico dalle 9 alle 17 il che spiega come sia riduttivo parlare solo di GenZ. Il fenomeno è in crescita dopo che, con la fine della pandemia, molte aziende hanno abbandonato il lavoro da remoto, o smart working. “Il burnout è la principale causa del revenge quitting, e i manager hanno il potere di valutare e affrontare il benessere di ogni singolo dipendente”, le parole di Julie Lee Lee, co-presidente della Harvard Alumni for Mental Health, a Newsweek. Ma Lee avverte anche i dipendenti: il revenge quitting non è la soluzione perché quando qualcuno chiamerà il vecchio posto di lavoro per delle referenze, cosa si sentirà dire?