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Meloni getta ‘l’aringa’ del Manifesto di Ventotene e li frega tutti di nuovo. Ecco lo schema

Da giorni, giornali e blog dell'ultradestra avanzavano una battaglia contro il Manifesto antifascista. Particolarmente attivo, Nicola Porro
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Li ha fregati di nuovo. E stavolta non ha avuto bisogno di inventarsi nulla, le è bastato citare alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene, scritto nel 1941 da tre degli 800 antifascisti che la dittatura fascista di Mussolini aveva spedito al confino a Ventotene (“villeggiatura”, secondo Berlusconi) e che Repubblica, quotidiano della famiglia Agnelli-Elkann che controlla anche l’impresa bellica Iveco Defence Vehicles, ha regalato ai suoi lettori sabato 15 marzo per promuovere la manifestazione “blUE riarmo” di Piazza del Popolo.

“La rivoluzione europea dovrà essere socialista”; “la proprietà privata dovrà essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso”; “attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato”, sono le frasi con cui il 19 marzo Giorgia Meloni ha concluso il suo intervento alla Camera. Estrapolando alcuni passaggi dal Manifesto di Ventotene, Meloni ancora una volta ha utilizzato una tecnica che in comunicazione politica prende il nome di “red herrings”. Letteralmente l’espressione significa “aringhe affumicate”. La tecnica veniva usata per distrarre i cani da caccia nel corso degli addestramenti, disseminando il percorso per l’appunto di aringhe affumicate.

Meloni ha gettato una “red herring”, una “aringa affumicata” nell’arena parlamentare, sperando che opposizioni parlamentari e potere mediatico “progressista” si lanciassero su di essa.

Distraendosi così dal tema principale. Cos’è che infatti si discuteva in Parlamento? Il ReArm Europe su cui spinge la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e che è il principale tema all’ordine del giorno della due giorni del Consiglio Europeo (20-21 marzo). Questione su cui la maggioranza parlamentare è spaccata, con la Lega che è arrivata ad affermare che Meloni non ha il mandato per andare ad approvare il piano di riarmo europeo da 800 miliardi.

E che ha fatto il potere politico e mediatico “progressista”? Esattamente ciò che desiderava l’ultradestra meloniana. È caduta mani e piedi nella manovra distrattiva. Oltre le immediate repliche in Parlamento, basta leggere le prime pagine dei quotidiani di giovedì 20 marzo: “Meloni contro gli europeisti” (Repubblica); “L’Europa si è fermata a Ventotene” (La Stampa); “Meloni insulta l’Europa antifascista. Lo sfregio al Manifesto di Ventotene” (Domani).

Chiaramente l’ultradestra mediatica ci va a nozze e rafforza la manovra distrattiva: “La verità su Ventotene manda in tilt la sinistra” (Il Giornale); “Chiamate l’ambulanza. Crisi isterica a sinistra perché Meloni critica il Manifesto di Ventotene” (Libero); “La sinistra s’è fatta troppi spinelli” (La Verità). L’ultradestra mediatica, in realtà, non si limita a essere “megafono” della tecnica distrattiva di Meloni. Anzi, si può dire che è proprio nei mondi dell’ultradestra mediatica che nasce la manovra.

Da giorni, infatti, giornali e blog dell’ultradestra avanzavano una battaglia contro il Manifesto di Ventotene. Particolarmente attivo era Nicola Porro, che sul suo blog ha ospitato interventi quasi quotidiani. In uno pubblicato il 16 marzo si affermava che il “manifesto di Ventotene disegna un’Europa molto, molto simile all’Urss”. Se volessimo assegnare la palma di ideatori della manovra, probabilmente dovremmo darla a Libero, quotidiano della galassia Angelucci, ras delle cliniche private e parlamentare (assenteista) della Lega, ma molto vicino a Meloni (anche troppo, secondo esponenti salviniani). Ecco il titolo di un articolo del 2 marzo a firma Corrado Ocone: “Il Manifesto di Ventotene? Altro che modello: voleva in Europa il socialismo in stile sovietico”. Proprio in questo articolo si ritrovano tutte le citazioni che Meloni ha successivamente letto in Parlamento.

Dunque lo schema è questo: il potere mediatico dell’ultradestra apparecchia la manovra, il potere politico la mette in campo, il potere mediatico la rilancia ulteriormente. Si tratta di una trama in azione costantemente (idem per il centrosinistra), ma che in molti tendono a trascurare, nascondendosi dietro la presunta “neutralità” e “distanza” di stampa e media dal potere politico ed economico.

Riconosciuta la “red herring” lanciata da Meloni, cosa dovremmo fare? Innanzitutto non inseguire l’aringa. Stare sul punto. Colpire lì dove l’ultradestra stessa ci dice che le si può far più male. In questa congiuntura: sul ReArm Europe. Rivendicare un “no” netto al riarmo, che avvenga su base nazionale o europea.

Meloni nelle sue comunicazioni in Parlamento ha proferito delle enormi bugie. Come quella secondo cui più spesa militare non significa meno spesa sociale. Ci sono tre strade per raggiungere il 2% del Pil (e più, come sancirà il summit di giugno a L’Aia) in armi, “imposto” dalla Nato: più debito, più tagli, più tasse (o un mix). La domanda da fare a Meloni è: sulle spalle di chi peserà tutto ciò?

Più onesto di Meloni e molti governanti è stato il Financial Times che il 5 marzo titolava: “Europe must trim its welfare stare to build a warfare state”. È questa la battaglia da ingaggiare, non certo inseguire le aringhe che Meloni intelligentemente dissemina lungo la strada…

P.S.: Se proprio per qualche tratto si volesse inseguire l’aringa affumicata del Manifesto di Ventotene, che almeno si rivendichino alcune delle sue idee più forti, a partire secondo cui “la rivoluzione europea […] dovrà essere socialista, proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione di condizioni più umane di vita”. Non come fa il centrosinistra, che se ne scusa e che sposa e spinge per un’Ue che, fin dalla sua nascita, è strutturalmente liberista e anti-popolare e che oggi indossa il caschetto del riarmo e della guerra che vogliono von der Leyen, le destre, il Partito Socialista Europeo e l’estremo centro liberista degli adepti di “re” Macron di Francia.

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