La Ue prende tempo per negoziare con Trump: rinviati a metà aprile i contro-dazi su whiskey e jeans Usa

Da un lato la minaccia di Donald Trump di imporre un balzello del 200% sui vini europei in risposta all’eventuale contro-dazio del 50% sugli alcolici made in Usa. Ipotesi che fa tremare i produttori e suggerisce ai capi di Stato di scendere a più miti consigli. Dall’altro le analisi – ultima quella della Bce – che avvertono come l’escalation della guerra commerciale sia destinata a trasformarsi in un boomerang per l’economia del Vecchio continente. Il fronte dei Ventisette si sta già sgretolando e alla fine la Commissione Ue, alle strette, ha deciso di rinviare l’entrata in vigore della prima parte di contromisure contro i dazi Usa su 26 miliardi di importazioni di acciaio e alluminio. La mossa è evidentemente mirata a prendere tempo per negoziare con l’amministrazione Usa. E tradisce la mancata compattezza dell’Ue, dopo che nei giorni scorsi sia Giorgia Meloni sia il premier francese François Bayrou e quello irlandese Micheál Martin hanno criticato apertis verbis le “ritorsioni” annunciate la settimana scorsa da Bruxelles.
L’intera batteria di misure annunciate il 12 marzo entrerà quindi in vigore solo a metà aprile. Salta il piano iniziale del doppio binario. L’idea, come annunciato da Ursula von der Leyen, era quella di partire già dall’1 aprile non rinnovando la sospensione delle tariffe ritorsive adottate contro i dazi della prima amministrazione Trump, tra cui quelle su Harley Davidson, whiskey, jeans, burro d’arachidi. E far scattare poi entro il 15, dopo la consultazione degli Stati membri, un ulteriore pacchetto di nuove contromisure da 18 miliardi. Nel frattempo però, dal 2, dovrebbero scattare anche le tariffe reciproche di Washington sull’export di tutti i partner commerciali.
Il commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic ha spiegato la decisione dicendo che in questo modo si potranno “consultare contemporaneamente gli Stati membri su entrambe le liste” e si avrà “più tempo per i negoziati per cercare di trovare una soluzione reciprocamente accettabile con gli Stati Uniti”. Un approccio, sostiene, che “ci consentirebbe di fornire una risposta ferma, proporzionata, solida e ben calibrata” alla decisione Usa di imporre tariffe equivalenti alla somma di dazi, barriere non tariffarie, Iva e regolamentazioni ritenute dannose per le aziende Usa applicati da ogni singolo Paese. “Voglio essere chiaro. Si tratta di tariffe ingiustificate che danneggiano le aziende, i lavoratori e i cittadini dell’Ue”, ha chiosato. Eppure, appunto, sulla risposta da dare non c’è accordo.
Si allontana, di conseguenza, l’ipotesi di ricorrere per la prima volta – come ventilato da alcuni funzionari Ue – al “meccanismo anti coercizione”, che comprende sia contro-dazi sia restrizioni alla partecipazione di aziende del Paese terzo agli appalti pubblici, eventuale ritiro delle licenze di importazione, preclusione dell’accesso ai mercati assicurativi e finanziari e limitazioni allo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale. Un “bazooka” che per esempio consentirebbe di impedire ai gruppi Usa di monetizzare servizi come lo streaming o l’uso dei loro software. Per attivarlo serve un voto a maggioranza qualificata in Consiglio e l’aria che tira a Bruxelles non sembra favorevole a reazioni muscolari.