“Il talento non ha barriere, ma i teatri sì: ancora troppe resistenze per far esibire una performer con sindrome di Down”

Immaginate di essere una compagnia teatrale e avere uno spettacolo pronto con una delle migliori performer con sindrome di Down in Italia. Di aver avuto un debutto tra gli applausi ed essere stati sommersi di complimenti “per il coraggio”. E poi, immaginate di vedervi sbattere le porte in faccia perché per l’esibizione “manca la cornice adatta”. Collettivo Clochart, compagnia teatrale che realizza percorsi inclusivi per attori e attrici diversamente abili, è abituata tanto agli elogi quanto alle persone che spariscono quando c’è da trovare uno spazio nei cartelloni. Perché troppo spesso, anche nel mondo culturale, delle persone con disabilità ci si ricorda solo nelle giornate dedicate o nelle ricorrenze istituzionali. Un paradosso per una compagnia che è riuscita nell’impresa unica di stravolgere la prospettiva: rendere la disabilità un elemento presente sul palco, ma secondario. Mai protagonista.
“Noi”, spiega Michele Comite, direttore artistico e regista del collettivo nato nel 2012, “siamo tra le pochissime compagnie che lavorano non cercando di differenziare il lavoro professionale degli attori con disabilità. Giorgia Benassi ora, Alessandra Carraro prima, sono a tutti gli effetti artiste come altre”. Attrici impegnate nella compagnia preparando spettacoli, ma anche nei laboratori aperti al pubblico. “Il segreto è lavorare, tanto. Se ci sono otto ore di prove, tutti faremo otto ore. Se serve, ci saranno più pause”. Clochart è nato nel 2012, prima a Rovereto e ora con una sede a Mori dove si fa formazione e produzione. “Nasciamo con l’intento di lavorare con e sulle fragilità dell’essere umano. Il nostro obiettivo è portare in scena la verità. Così abbiamo iniziato a lavorare con le persone con disabilità. Noi non dobbiamo valorizzare la disabilità, non abbiamo bisogno di farlo, per noi il valore è già dentro lo spettacolo. Ed emerge parlando di tutt’altro”. Ad esempio, “nell’ultimo spettacolo ‘Vibro d’amore‘ parliamo di sessualità”, in ‘DEsPRESSO‘ di depressione, in ‘Down’ di sindrome di Down. E chi meglio di un’attrice con sindrome di Down può farlo?”. Così si stravolgono i pregiudizi: non enfatizzando le fragilità, ma annientandole raccontando storie e trasmettendo emozioni. “La difficoltà non è farsi capire dal pubblico, che è sempre entusiasta. Piuttosto la ritroviamo negli operatori. Che pur stimando i nostri lavori, poi non riescono ad andare al di là di quella che è la grande barriera della disabilità. Io posso dire con assoluta certezza che Giorgia a oggi è la migliore performer con sindrome di Down. Tecnicamente e artisticamente è la migliore in Italia”. Anche “dal punto di vista cognitivo: è un corpo che fa quello che il corpo vuole fare, non solo quello che le dici”. E nonostante la grande qualità dell’attrice, “la barriera della sindrome di Down è molto più forte”. E come la si combatte? “Bisogna venirla a vedere. Altrimenti l’operatore non la programmerà e soprattutto vedrà sempre e solo la disabilità”.
I membri del Collettivo Clochart, una delle parole che si sentono attribuiti più spesso è “coraggio”: “Ce lo dicono i colleghi e chi viene a vedere gli spettacoli”, continua il direttore artistico. “Ma poi non c’è questa risposta altrettanto coraggiosa. Ad esempio, a novembre abbiamo debuttato con Vibro d’Amore, spettacolo che parla di sesso e disabilità. E’ stato un grande successo, ma il tema resta un tabù e al momento non riusciamo a programmare altre date. Ci dicono: abbiamo chiuso la stagione. E se puntiamo alla prossima, ribattono che serve il contenitore adatto”. Il motivo? “Lo fanno per pigrizia e ignoranza. Per paura che il pubblico poi non venga. E’ più comodo mettere in cartellone un grande nome televisivo, piuttosto che rischiare. In Italia ci sono ancora tanti pregiudizi e tanta retorica. Se mi dici che la proposta non è artisticamente valida lo accetto, ma non che devi trovare un contenitore. Così la disabilità sarà sempre ghettizzata”. Ma non per questo Comite farà appelli: “Noi continueremo a fare questi spettacoli, anche se non trovano spazio. Spiace solo perché non considerarli impoverisce la nostra società”. Insomma, chiude, se “il talento non ha barriere, i teatri sì” e ci sono “ancora troppe resistenze per far esibire una performer con sindrome di Down”.
Il lavoro che fa il Collettivo Clochart con le persone diversamente abili è immenso e prezioso, fatto di disciplina e allenamenti che permettono una crescita quotidiana. “Ogni giorno”, spiega Hillary Anghileri, coreografa e mental coach, “Giorgia Benassi fa allenamento come le nostre danzatrici. Lo può fare nel nostro centro o a distanza, ma ha una serie di esercizi da seguire”. Esercizi fisici, ma anche intellettuali per preparare gli spettacoli. “Le diamo dei libri da leggere e poi ripete tutti i monologhi. E quotidianamente mi manda dei video dove ripete insieme ai movimenti e io la correggo. L’allenamento cambia ogni 2-3 mesi, per cui c’è sempre un’evoluzione. E dopo un obiettivo raggiunto, ne diamo subito un altro”. Un impegno enorme dietro la preparazione di ogni spettacolo e che rischia di essere vano se poi per Clochart e Giorgia Benassi non è possibile trovare palchi dove esibirsi. “La nostra preoccupazione”, continua Anghileri, “è principalmente per Giorgia che ha un tempo diverso dagli altri. Ha fatto un enorme lavoro per arrivare dove è arrivata e ci piacerebbe che potesse godere dei sacrifici che ha fatto”. I limiti, alla fine, non vengono dalla disabilità, ma da chi la vede come un ostacolo e non considera solo la qualità delle esibizioni. “Vorrei vivere in un mondo dove io vedo lo spettacolo con Giorgia perché è lei e non perché ha la sindrome di Down. Ma siamo ancora molto indietro a livello sociale e si preferisce gestire le persone con disabilità in situazioni dove hanno poca interazione con il mondo fuori. O dove si accentuano solo le loro fragilità”. E in un contesto di così grande chiusura, chi cerca di aprire strade diverse non può che sentirsi isolato. “E’ un problema e soprattutto è triste: così ci perdiamo una parte di ragazzi e ragazze, di persone, che non hanno la libertà di esprimersi come gli altri”, chiude Anghileri. Il Collettivo Clochart, nonostante tutto, continua a bussare alle porte dei teatri. Sperando che anche il mondo della cultura abbatta finalmente quei pregiudizi che tanto promette di voler superare.