Ma quale Formula 1 femminile: la F1 Academy è un’illusione. “Strumento di pinkwashing utile a chi lo organizza”

A Shangai è partita la terza stagione della F1 Academy, la categoria tutta femminile nata sulle ceneri della W Series, finita in bancarotta proprio dopo tre anni. Un rischio che la F1 Academy non corre, grazie sia al proprio background – alle spalle c’è Liberty Media, mentre la W Series aveva una gestione del tutto indipendente dalla FIA – e a una serie di aggiustamenti tra il primo e il secondo anno (punti per la superlicenza, livree legate alle scuderie di F1, nuovi contratti tv) che hanno generato un indotto considerevole, attirando numerosi sponsor di livello quali Tommy Hilfiger, Puma, American Express, Charlotte Tilbury, tutti titolari di una propria monoposto. Una storia di successo proseguita con i numeri snocciolati dalla presidentessa Susie Wolff, ultima pilota a prendere parte a un weekend ufficiale in F1 (nel 2014 corse le libere con una Williams FW36), che ha parlato di un incremento di circa il 400% a livello di iscrizioni femminili nei campionati di kart solo nel 2024, e più in generale di un rinnovato interesse femminile a ogni livello del motorsport (si pensi anche alla prima ingenera di pista nella storia della F1, Laura Müller in Haas per Esteban Ocon). Una funzione propedeutica innegabile, quella della F1 Academy, che rappresenta il lato felice di una medaglia. La quale, però, ne presenta anche uno critico.
Tutto inizia dal nome, molto ambizioso, della categoria, con quel F1 posto all’inizio che indica un legame in realtà molto labile, quasi inesistente. La Formula Uno è da intendersi come l’obiettivo finale, la posta in palio più elevata per le pilote che prendono parte alla Academy e che, giustamente, per la citata natura formativa della categoria, non possono prendere parte a più di due stagioni – e in questo si differenzia dalla vecchia W Series. Di fatto, però, la Formula Uno con la Academy c’entra pochissimo, a parte le menzionate livree (una per scuderia) sfoggiate in pista da costruttori che operano nelle categorie sottostanti a quella massima. Non si tratta quindi di un ascensore, ma di una sorta di università che appare però totalmente scollegata dal mondo del lavoro nel quale dovrebbe inserire le laureate. Un esempio arriva proprio quest’anno, con la Formula 3 che, dopo la partenza della tedesca Sophia Flörsch per la Indy NXT, è tornata a presentare un roster interamente maschile.
Il post-Academy, insomma, rimane tutto da costruire. La campionessa della prima stagione, la spagnola Marta Garcia, alla fine dello scorso anno ha annunciato l’addio alle corse su monoposto per passare definitivamente alla endurance; l’inglese Abbi Pulling, netta dominatrice della seconda, è invece passata al GB3, campionato britannico considerato una sorta di “Formula 3.5” che utilizza monoposto di F4 con specifiche tecniche che consentono un passo gara da F3. Del resto, le macchine utilizzate dalla F1 Academy sono auto di Formula 4, quindi nella scala gerarchica si colloca al quinto livello, alla pari delle F4 nazionali e un gradino sotto i campionati Regional quali ad esempio la FRECA. Di strada da percorrere insomma ce ne è parecchia prima di arrivare in alto.
La citata Flörsch è, assieme alla collega inglese Pippa Mann, la principale osteggiatrice della F1 Academy, da lei definita come “uno strumento di pinkwashing utile più a chi lo organizza che non a chi ci corre”. Restare confinate “in uno steccato rosa con macchine che viaggiano 3-4 secondi a giro più lente delle monoposto di F1” per lei rappresenta solo un’esibizione, senza alcuna possibilità di crescita. Mann aveva parlato di “segregazione” ai tempi delle W Series, argomentando come fosse “triste vedere che chi intende investire soldi per promuovere le donne nell’automobilismo lo faccia confinandole in una categoria fine a sé stessa e non supportandole concretamente – ad esempio attraverso la ricerca di partner a lungo termine – in una carriera finalizzata a confrontarsi con i top del motorsport. Siamo agoniste e vogliamo batterci contro tutti, non vincere la coppa delle ragazze”.
La questione è delicata, perché da un lato le argomentazioni di Flörsch e Mann sono sensate, ma dall’altro è anche vero, come dice Pulling, che senza la Academy, e prima ancora la W Series, la sua carriera nel motorsport si sarebbe già conclusa, senza nemmeno aver avuto la possibilità di dimostrare – come fatto lo scorso anno nella F4 inglese, dove è finita 7° raccogliendo 130 punti e vincendo una gara – la propria competitività in un contesto misto. L’impressione è che manchi qualcosa, un punto di contatto tra la Academy e il motorsport. Ad esempio, una scuderia come le Iron Dames, progetto femminile funzionante che offre spazio alle donne in contesti di alto livello quali Endurance, GT e rally. Nel 2024 questo team, costola dell’italiana Iron Lynx, ha partecipato anche con due monoposto alla FRECA, guidate dalla citata Garcia e dalla francese Doriane Pin, Academy Mercedes. L’idea di una Iron Dames anche in F3 o in F2 potrebbe davvero essere l’anello mancante di un progetto meritorio ma che, a oggi, rischia di rimanere effimero.