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Una bimba da sottrarre alla madre, un condominio che si ribella e certe prassi che non cambiano

Il motivo dell'allontanamento è sempre lo stesso: il rifiuto del padre. Sono provvedimenti fatti "per il bene" di chi?
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A Roma, nel quartiere di Monteverde, un intero condominio ha creato un muro di coscienza e umanità tra le assistenti sociali, la curatrice, le forze dell’ordine e una bambina di cinque anni che vive con la madre separata e i nonni. Era in corso il prelievo coatto della piccola sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio. Il motivo? Il rifiuto da parte della bambina del padre, rinviato a giudizio per maltrattamenti con un Codice Rosso. Il processo penale si celebrerà a giugno. La bambina si è legata con lo scotch alle gambe del tavolo, urlando la sua angoscia.

Siamo testimoni della persistenza, nei tribunali civili, del costrutto pseudoscientifico definito in origine, Sindrome di Alienazione Parentale. Privo di qualunque rispetto per l’integrità psicologica dei bambini, innesca prassi che vìolano palesemente la Convenzione di Istanbul (articolo 31) e la tutela delle vittime di maltrattamento familiare. Il problema è stato stigmatizzato nelle relazioni del Grevio, nelle conclusioni delle relatrici speciali che monitorano l’applicazione della Cedaw, e in alcune sentenze della Cassazione. I consulenti tecnici incaricati dai tribunali di valutare le competenze genitoriali non hanno recepito quelle critiche ma hanno riformulato il costrutto cambiandone il nome.

Le bizzarre definizioni, si alternano nelle consulenze della Ctu, alcune palesemente intrise di superstizione misogina da caccia alle streghe come, per esempio, “madre malevola”; altre che sembrano pensate da chiacchieroni in treno, più che da professionisti: “madre adesiva”, “madre pollyannica”, “madre assorbente”. Sono definizioni prive di dignità scientifica che rivelano la debolezza del costrutto.

Al centro del problema c’è un posizionamento politico che inquadra le relazioni di uomini e donne all’interno della famiglia. Inseguendo logiche che ci riportano indietro nel tempo, la madre è depositaria dei segreti della famiglia – oggetto di sospetto per aver svelato violenze o abusi sessuali – ed è anche responsabile del mantenimento, ad ogni costo, delle relazioni famigliari e garante della devozione che i figli devono nutrire per il padre. Anche se violento. Se i bambini rifiutano padre, i Ctu formati alla teoria della alienazione parentale, non cercano spiegazioni scientifiche ma individuano ciecamente la colpa nella madre. Se una donna ha paura, comprensibilmente, di lasciare i figli con partner – magari violenti, cocainomani, alcolisti – non è tutelante ma vendicativa.

Non è un caso che un paio di anni fa, una magistrata abbia cominciato il suo intervento in occasione del 25 novembre con queste parole: “le donne devono imparare a perdonare”. Oblatività femminile uber alles, ci dice chi indossa la toga.

La riforma Cartabia, che ha introdotto i percorsi di separazione per violenza, non ha risolto il problema. Queste prassi sono incistate nei tribunali civili a dispetto della pedagogia, della psicologia del trauma e delle Convenzioni internazionali. Nei casi in cui è la madre ad essere rifiutata, è molto difficile che un Tribunale proceda con i prelievi coatti, limitandosi a fare pressioni (percepite dai soggetti coinvolti, come un vero e proprio mobbing) sul padre e sui figli, affinché la relazione con la madre si ripristini magicamente. Come? Sulla base di un decreto e di moniti. È il fallimento delle istituzioni che non sanno affrontare queste situazioni con competenza e soprattutto rispettando i soggetti coinvolti che vivono situazioni di grande sofferenza.

Gli allontanamenti coatti nonostante le denunce per violenza, si ripetono, anche se la Commissione sul femminicidio, presieduta da Valeria Valente nella scorsa legislatura, ha evidenziato la vittimizzazione istituzionale dei bambini. Nel novembre del 2022, la Cedu ha condannato l’Italia (IM contro Italia) per violazione dell’articolo 8 che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza. Nelle motivazioni della sentenza si legge: “Il tribunale, informato che i minori avevano bisogno di seguire un percorso di sostegno psicologico, non sembra aver tenuto conto del loro benessere, tanto più che tali incontri li hanno esposti sia a essere testimoni delle violenze commesse nei confronti della prima ricorrente, che a quelle che essi stessi hanno subìto a causa dell’aggressività del loro padre”.

Negli ultimi 15 anni, contro queste prassi, ci sono state iniziative di attiviste, psichiatri, medici, psicoterapeute, magistrati e avvocati. D.i.Re ha realizzato due ricerche sulla vittimizzazione istituzionale delle donne. Nel novembre del 2022, insieme ad altre otto autrici, ho pubblicato Senza Madre – Storie di figli sottratti dallo Stato con la prefazione di Francesca Ceroni, sostituta procuratrice generale presso la Cassazione.

La curatrice incaricata dal tribunale di prelevare coattivamente una bambina di cinque anni, terrorizzata, forse era convinta di farlo per il suo bene. Livia Zancaner, giornalista di Radio 24, nel podcast “Per il tuo bene”, ci racconta una di queste storie dando voce a quattro fratellini, prelevati coattivamente e costretti nelle case-famiglia per mesi. Il motivo dell’allontanamento è sempre lo stesso: il rifiuto del padre. Sono provvedimenti fatti “per il bene” di chi?

@nadiesdaa

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