“Da piccolo gli dicevo sempre ti voglio bene”. È una intervista piena di affetto e gratitudine quella che Piero Villaggio, secondogenito dell’attore Paolo morto nel 2017 per le complicazioni dal diabete, ha rilasciato a Il Corriere della Sera. A 62 anni Piero traccia un bilancio positivo del rapporto con un grande padre e icona del cinema italiano.
Gelosissimo del rapporto con Paolo ha confessato: “Mi infastidivo quando ci interrompevano e io gli stavo dicendo qualcosa di importante per me. Ma riconosco come un pregio che sia stato così generoso con i suoi fan. Solo alla fine si spazientiva, ma era la malattia”.
Paolo Villaggio è stato sempre presente e anche risolutivo per il figlio quando è entrato nel tunnel della droga. Come ultimo atto, l’attore lo portò nella Comunità di San Patrignano “con una interpretazione da Oscar”.
“Vivevo a Los Angeles. Ero già entrato e uscito da due cliniche di disintossicazione in Svizzera e da altrettante in California. – ha raccontato – Venne a prendermi con mia madre, per tornare in Italia, e al rientro ci fermammo a Parigi. Poi da lì andammo a Venezia, dove mi portò a mangiare all’Harry’s Bar, che adoravo. Dopodiché noleggiò un’auto, e questo avrebbe dovuto insospettirmi. Quando arrivammo in comunità mi arrabbiai molto. Però ho scelto io di restare”.
Poi la morte per overdose della sua fidanzata, Maria Beatrice Ferri: “Anche allora mio padre non mi ha voltato le spalle. Quando lo chiamai per dirgli che avevo trovata morta Bea in casa lui non capì subito cosa gli stavo dicendo, pensava a una sua amica che si chiamava come lei. I suoi genitori non mi hanno mai colpevolizzato”.
Nell’autobiografia “Non mi sono fatto mancare niente“, Piero si è dissociato dai metodi di Muccioli, fondatore di San Patrignano: “Sono stato lì per tre anni. Se devo fare un bilancio, alla fine è stata un’esperienza positiva perché io ne sono uscito. Pur non essendo sempre d’accordo con i suoi metodi, Muccioli ha dato una risposta a tante famiglie. All’entrata della comunità c’era un gabbiotto dove sostavano mamme disperate che volevano far entrare i figli”.
La fama, la popolarità e i soldi, non c’entrano nulla con le dipendenze e se Piero avesse avuto un altro padre la sostanza e la sua vita non sarebbero cambiate: “La tossicodipendenza è una malattia, come lo è stato per mio padre il diabete, che poi lo ha ucciso“.
Infine un ricordo affettuoso: “L’ho visto felice professionalmente, quando gli hanno dato il Leone alla carriera a Venezia. Quel giorno era proprio raggiante, si vedeva che per lui quel premio era importante. Nella vita privata quando ho smesso di drogarmi”.