Dazi, “con Trump l’Ue usi bastone e carota”. Ecco cosa può offrire e come metterlo alle strette con Big tech

“Il piano A è impegnarsi nei negoziati” con gli Usa, ma “teniamo saldamente in tasca la potenziale risposta, il piano B”. Il punto di caduta del primo vertice dei ministri Ue del Commercio dopo l’annuncio di Donald Trump sui dazi reciproci dà la misura di un’Unione al bivio tra dialogo con Washington e ritorsioni che potrebbero scatenare un’escalation. Aggravando i danni per l’economia. Ma che strumenti ha in mano Bruxelles per trattare con un presidente Usa che interpreta i rapporti con alleati e partner commerciali con l’unica logica della trattativa d’affari? I Ventisette sono in grado di fare fronte comune? E davvero l’Italia, come sostiene parte della maggioranza, potrebbe cercare di ottenere condizioni di favore muovendosi in autonomia?
Trattative bilaterali? Strada sbarrata – “Trattative bilaterali sui dazi non sono possibili”, sgombra il campo Carlo Altomonte, docente di Politica economica europea alla Bocconi, mentre Palazzo Chigi ufficializza che Giorgia Meloni il 16 aprile sarà a Washington. “In base ai Trattati, la politica commerciale è responsabilità della Ue. Le risposte andranno quindi adottate dal Consiglio su proposta della Commissione”. Resta il fatto che sulle decisioni del Consiglio ogni Paese può ovviamente, in base al suo peso specifico, tentare di esercitare influenza cercando alleati con cui formare un blocco in grado di stoppare decisioni sgradite. E in questo modo, nel caso, accreditarsi oltreoceano per ottenere vantaggi – per esempio in termini di investimenti diretti.
Gli acquisti di gas e la riduzione dei dazi sull’auto – Al tavolo con l’amministrazione Usa si siederà quindi la Ue. Se è vero che i dazi per Trump sono merce di scambio da utilizzare con l’obiettivo di ribaltare l’ordine commerciale e finanziario globale, la prima strada da esplorare è quella delle concessioni ai desiderata del tycoon. Per esempio più acquisti di costoso gas naturale liquefatto statunitense, ipotesi esplicitata dal commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic. Aumentare lo shopping di armamenti sembra invece escluso visti i piani della Commissione per un aumento della produzione comunitaria. Restando sul fronte commerciale, “come “carota” nella trattativa si può proporre per prima cosa una riduzione delle nostre tariffe sull’export statunitense”, ragiona Altomonte. “Penso a quella del 10% sulle auto importate”, quattro volte superiore a quella reciproca di Washington. Ursula von der Leyen pare della stessa idea, visto che lunedì pomeriggio ha ufficializzato di aver messo in campo l’offerta di “tariffe zero per i beni industriali“, dall’auto a farmaceutica, chimica e macchinari, se gli Usa accetteranno di garantire lo stesso trattamento alle merci europee.
I contro-dazi in risposta a quelli su acciaio e alluminio – Con Trump però la “carota” non basta. Mentre sui mercati proseguono i crolli, complici gli algoritmi che in queste condizioni impongono vendite automatiche e il ruolo dei fondi passivi, Bruxelles deve assicurarsi di avere dalla sua argomentazioni convincenti. Il primo passo sarà l’approvazione mercoledì, a meno di opposizione di una maggioranza qualificata di Paesi membri, del primo pacchetto di contro-dazi in risposta alle tariffe statunitensi del 25% su acciaio e alluminio in vigore da metà marzo. “Su quello non ci saranno problemi”. Meno indolori saranno le decisioni da prendere dopo. “C’è un tema di deterrenza“, continua il professore. “L’unico modo per negoziare con Trump è mettere la cosiddetta pistola sul tavolo“. In concreto? Le leve da muovere sono due, secondo Altomonte.
La pistola sul tavolo: colpire Big tech – “La Commissione può innanzitutto proporre di attivare lo strumento anti coercizione“, creato nel 2023 come arma di difesa nei confronti della Cina e mai utilizzato: consentirebbe di limitare la partecipazione di aziende Usa agli appalti pubblici, ritirare le loro licenze di importazione, stoppare lo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale colpendo al cuore Big tech. In parallelo, per “lanciare un messaggio a chi era in prima fila all’Inauguration day“, ovvero i numeri uno di Amazon, Google, Meta e X , “si può discutere anche di tassazione. Non è di competenza comunitaria, ma in fondo tutti gli Stati Ue hanno sottoscritto l’accordo Ocse a due pilastri per la tassazione delle multinazionali (che Trump a inizio mandato ha rinnegato, ndr). E allora, annunciamo che stiamo considerando di varare unilateralmente una digital tax sui ricavi da servizi digitali. L’aliquota? Se utilizziamo la formula sconclusionata con cui la Casa Bianca ha calcolato i dazi reciproci, dividendo il nostro deficit commerciale con gli Usa relativo ai servizi per il valore delle importazioni di servizi otteniamo il 25%. Dividiamolo per due, come ha fatto Trump, e otteniamo il 12,5%“. Uno scenario che non lascerebbe indifferenti i grandi gruppi che esportano in Ue servizi per oltre 400 miliardi senza oneri doganali e versando pochissime tasse.
Ma la Ue è divisa – Si parla, val la pena di ripeterlo, di strategia negoziale. Mosse da tentare per ottenere concessioni dall’avversario. Va da sé che l’effettivo impiego di quelle armi comporterebbe conseguenze pesantissime, visto che il Vecchio continente non ha gruppi in grado di sostituire i servizi dei colossi americani. Al momento sembra però arduo immaginare unità nelle trattative. Michal Baranowski, viceministro dello Sviluppo economico della Polonia che ha la presidenza di turno, dopo il vertice in Lussemburgo ha detto che i suoi omologhi non vogliono avere “il grilletto facile”. Se la Francia ha una postura bellicosa e chiede di prendere in considerazione una risposta “estremamente aggressiva” che comprenda lo strumento anti coercizione, opzione che vede d’accordo la Spagna e (su posizioni più caute) una debole Germania che attende la formazione del governo Merz, l’Italia frena. Giorgia Meloni ha chiarito di essere contraria a ritorsioni e potrebbe prendere la guida di una minoranza di blocco, affiancata da Romania, Grecia, Irlanda e Ungheria.
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