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“Fuori la guerra dalla storia? Lo slogan più cretino di sempre”. Per irridere Conte e M5s, Mattia Feltri butta via anche Menapace, Gino Strada, Kant e Papa Francesco

Mattia Feltri in prima pagina vuole criticare Conte e i 5 Stelle e per farlo si scaglia contro una parola d'ordine che in realtà è rimbalzata in molte marce per la pace degli ultimi decenni
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“L’abolizione della schiavitù è stata preceduta dal libro famoso di una donna, la signora Beecher-Stowe (La capanna dello zio Tom, ndr); Dio conceda che l’abolizione della guerra lo sia grazie al vostro”. Lev Tolstoj scriveva così a Bertha Von Suttner, baronessa austriaca, intellettuale, autrice del bestseller Giù le armi, prima donna a vincere un premio Nobel per la pace, anzi amica di Alfred Nobel che – si racconta -, ispirato dalle conversazioni con la scrittrice, da inventore della dinamite si convertì a tal punto da ideare il celebre riconoscimento assegnato nell’ultimo secolo abbondante con alterne fortune. Lo slancio utopico di Tolstoj, monumento della letteratura e del pensiero dell’Ottocento, si sprigionava ben prima che le ambizioni pacifiste finissero in frantumi sotto i colpi degli orrori e delle tragedie del Novecento, ma comunque dopo i massacri di conflitti sanguinosi prima e durante il suo tempo. Anzi, proprio perché sconvolta da varie guerre – dalla seconda d’indipendenza italiana a quella franco-prussiana – Von Suttner scrisse il suo romanzo pubblicato nel 1889, con notevole successo tanto da essere tradotto in oltre venti lingue. “La grandiosa e generosa Cassandra del nostro tempo, non vide più che un solo compito nella vita: impedire una seconda guerra, impedire ogni guerra” scrisse Stefan Zweig, firma del pantheon pacifista.

Chissà cosa ne penserà di questa storia remota Mattia Feltri che nella sua rubrica in prima pagina sulla Stampa – forte di un osservatorio di prima qualità, la sua casa romana sotto la quale transitano molti cortei, come non manca di mettere a parte i suoi lettori – elegge come “slogan più cretino di sempre” quello scandito dalla manifestazione per la pace di sabato: “Fuori la guerra dalla storia“. “Poiché sotto la mia casa romana transitano manifestazioni tre sabati sì e uno no – è il racconto di Feltri, inviato al davanzale -, ho la fortuna di avere apprezzato l’intera casistica degli slogan prodotti dall’uomo che protesta. E ci sono voluti due decenni perché potessi proclamare di avere ascoltato lo slogan più cretino di sempre, nella solida previsione che nessun altro slogan cretino potrà mai essere altrettanto cretino, e nonostante la fisiologica cretineria degli slogan da corteo. È stato pronunciato sabato nella manifestazione promossa da Giuseppe Conte e dal Movimento Cinque stelle, accompagnati dal grosso del resto della sinistra, contro le ipotesi di riarmo europeo e di sostegno militare all’Ucraina invasa da Putin. Eccolo qui: ‘Fuori la guerra dalla storia’”.

Il rischio è che nella furia di buttare nell’indifferenziata Conte e il M5s (atto legittimo), trascinati dall’agonismo in favore del riarmo europeo (opinione altrettanto legittima), finiscano nello stesso bidone della polemica giornalistica anche secoli di pensiero pacifista che come in altri ambiti si esprime anche tentando una qualche efficacia attraverso uno slogan. Mai come in questo caso è bene sottolineare che le proporzioni sono importanti e chiare a tutti: Von Suttner, Tolstoj, Zweig e i pensatori venuti nei decenni successivi sono figure già consegnate alla storia con la esse maiuscola, a differenza dell’attualità politica, grande o piccola che la si consideri. Vale la pena però ricordare a chi legge che lo “slogan più cretino di sempre” non è di Conte né del M5s né è nato sabato scorso ai Fori Imperiali. E’ un motto che rimbalza di decennio in decennio nelle marce per la pace da quaranta e più anni. Lo ricordava spesso Lidia Menapace, partigiana, fondatrice del manifesto, cattolica, pacifista per tutta la vita dopo aver fatto la staffetta con tanto di nome di battaglia, Bruna. Proprio così – Fuori la guerra dalla storia – si intitola un libro uscito quest’anno che raccoglie i suoi scritti (è a cura di Monica Lanfranco ed edito da Enciclopedia delle donne). “Sono sempre dell’opinione che ripudiare la guerra e quindi avere una politica estera favorevole alla trattativa e ridurre le spese per gli armamenti siano le migliori prevenzioni della catastrofe bellica, opinione che la diffusione delle armi di distruzione di massa non fa che confermare” scriveva in Canta il merlo sul frumento, un’autobiografia di una decina d’anni fa.

Essendo quella della pace un’aspirazione vecchia come la guerra, le parafrasi dello stesso concetto si sono moltiplicate nel corso dei decenni e ormai dei secoli: “Se la guerra non viene buttata fuori dalla storia dagli uomini, sarà la guerra a buttare fuori gli uomini dalla storia” è una delle frasi sferzanti e glaciali che nella sua vita missionaria ha pronunciato Gino Strada, fondatore di Emergency, che la guerra l’ha vista da vicino tanto da poterla schifare. Immanuel Kant – colonna dell’Illuminismo – scrisse Per la pace perpetua (“Gli eserciti permanenti devono col tempo del tutto cessare”). “Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla Storia” ha ribadito più di recente Papa Francesco. Il tema, come sanno tutti, ha turbato per quasi tutta la vita il fisico Albert Einstein che in una lettera all’inventore della psicanalisi Sigmund Freud parlava proprio di questo: “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”. Sempre a uno dei più grandi geni del Novecento è attribuita una frase pronunciata durante una conferenza stampa in Svizzera: “La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”. Sembra uno slogan, forse non l’avrà detta proprio così. In un convegno per il disarmo nel 1931 disse: “Io credo che oggi la maggior parte dei governanti dei vari Paesi aspirino onestamente all’abolizione della guerra. La maggiore resistenza a questo programma viene da quelle disgraziate tradizioni nazionali che si tramandano di generazione in generazione, come una malattia ereditaria, attraverso l’opera della scuola. Ma lo strumento principale di quella tradizione è il militarismo e la sua glorificazione, come pure quella parte della stampa che si trova sotto il controllo dell’industria pesante e dei circoli militaristi. Senza il disarmo non vi può essere una pace stabile. La corsa agli armamenti, invece, nella misura odierna, porterà inevitabilmente a nuove catastrofi”. Questo non ha certo i connotati dello slogan, resta solo da stabilire se anche Einstein era “cretino”.

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Nella foto in alto | A sinistra la manifestazione per la pace di sabato a Roma; a destra Lidia Menapace (1924-2020), uno dei volti più noti del pacifismo

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