La Russia è al riparo dai dazi di Trump ma la guerra commerciale si fa sentire: persi 23 miliardi di dollari in due giorni

Alla fine, l’effetto del panico sui mercati per la guerra commerciale in corso è arrivato anche lì, alla Borsa di Mosca, nonostante la Federazione russa non sia stata colpita dai dazi trumpiani. Persi due trilioni di rubli di capitalizzazione, più di 23 miliardi di dollari, in soli due giorni. Un capitombolo così dei listini nella Capitale russa non si vedeva da fine settembre 2022, quando dal Cremlino è stata annunciata, a sorpresa, la mobilitazione parziale di massa, quella che spinse all’esodo centinaia di migliaia di cittadini per evitare il fronte ucraino.
Prime vittime colpite di sponda dai dazi sono stati i giganti del settore energetico della Federazione: il petrolio, sceso a sessanta dollari al barile (la cifra più bassa da aprile 2021), a strascico ha trascinato verso il basso tutti i settori legati alle materie prime. Urals, la miscela russa, è collassata a 53 dollari al barile (le stime per il suo bilancio Mosca le aveva calcolate su un prezzo medio di quasi 70 dollari). Ieri Nabiullina, la governatrice della Banca centrale russa, non ha nascosto le sue preoccupazioni: sono stati anni di shock economici, il crollo del mercato petrolifero e la sua fluttuazione possono essere un rischio per l’economia russa, “se l’escalation delle guerre tariffarie continua, è probabile un calo del commercio globale e dell’economia globale e forse della domanda delle nostre risorse energetiche”.
Rispetto a marzo scorso, i ricavi dei russi segnavano già un meno 17% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente: ora quelli di aprile si prospettano ancora più funesti. “Le nostre autorità faranno tutto il necessario per ridurre al minimo le conseguenze” della “tempesta economica”: ieri il portavoce del Cremlino Peskov ha promesso che Mosca tutelerà i suoi tesori petroliferi, da cui dipende non solo l’economia del Paese, ma anche l’esito dell’ “operazione militare speciale”, la guerra in Ucraina, la più costosa della sua storia moderna. Dalle vendite delle materie prime energetiche – nel 2024 i ricavi totali di gas e petrolio ammontavano a oltre 11 trilioni di rubli, 116 miliardi di dollari – dipende un terzo delle entrate del bilancio federale che finanzia anche la spesa per la Difesa aumentata del 25% dall’avvio del conflitto.
In sofferenza i titoli del colosso Gazprom che ha perso quasi il 5%, quelli petroliferi della Lukoil, che hanno registrano meno 4%, perde anche il secondo produttore di gas del Paese, Novatek. Nessuno ha però fatto peggio della compagnia di metalli Mechel con un crollo del 7%. Ferito anche il settore bancario russo: la banca Vtb ha lasciato sul terreno il 6% e la Sberbank il 5,2%. A Mosca si teme anche l’effetto di rimbalzo, cioè l’impatto potenziale dei dazi americani sui Paesi usati finora per le faticose e costose triangolazioni dell’export, che ha dovuto riadattarsi dopo la cascata di sanzioni commerciali.
A pesare è soprattutto il potenziale rallentamento dell’alleato cardine di Mosca, Pechino – diventato il primo acquirente di gas e petrolio russi – ora ufficialmente in guerra commerciale con Washington. Uno dei risultati indiretti che potrebbe ottenere Trump da questa virata finanziaria è soddisfare la sua ambizione di separare, almeno un po’, la Russia dal suo nemico pubblico numero uno, la Cina. Adesso anche gli analisti della prestigiosa Hse, Scuola superiore di economia di Mosca, cominciano a parlare di crisi per quei segni meno che si registrano sui maggiori titoli statali. Nulla è ininfluente nell’economia di uno Stato in guerra, già prima della mossa del tycoon, la Russia doveva far fronte a un’inflazione galoppante. Alla Duma il deputato Boris Chernyshov ha chiesto al ministero dell’economia di mettere un tetto al prezzo del cibo tra i più consumati in Russia: le patate. Secondo Rosstat (servizio statistico federale) sono aumentate quasi del 100% nel 2024: da 28 a 57 rubli.
Resta in contatto con la community de Il Fatto Quotidiano