Oliviero Diliberto
Politico e docente di Diritto romano
Fare politica da comunista per me è stata – ed è – “una scelta di vita”, per dirla con il titolo bellissimo di un libro di Giorgio Amendola. Ma la mia vita non si è esaurita nella sola politica.
Sono sardo, nato a Cagliari, il 13 ottobre del 1956. In quarta ginnasio, appena entrato alle scuole superiori, mi diedero un volantino politico (era il 1969: allora, non ne avevo mai visto uno!): fu una folgorazione. Inizio, così, semplicemente, a “stare a sinistra”, a militare. Presto, diventai anche comunista e, in qualche anno, segretario provinciale della Fgci. Da ragazzo, come tantissimi altri, avvertivo il peso delle ingiustizie della società: volevo cambiare il mondo. Tanti di quei ragazzi di allora, nel frattempo, invece di cambiare il mondo, sono stati cambiati dal mondo stesso, hanno così anche cambiato casacca, bandiera, opinioni, modi di pensare. Io, ahimè, il mondo non l’ho cambiato: non ci sono e non ci siamo riusciti. Ma non ho cambiato idea, né casacca. Berlinguer, in una celeberrima intervista, poco prima di morire, era il 1983, disse che la qualità alla quale era più affezionato era di essere rimasto fedele agli ideali della sua gioventù. La penso anche io così.
Nel 1991 ho contribuito a far nascere Rifondazione Comunista. Non accettavo che il Pci potesse sciogliersi, operando una cesura drammatica con tutta la storia del movimento operaio italiano. Le donne e gli uomini di quella straordinaria comunità umana, oltre che politica, avevano dato un contributo determinante per rendere il nostro paese migliore, più giusto e democratico: la Costituzione italiana – che porta la firma del comunista Terracini -, lo statuto dei lavoratori, lo stato sociale…
Nel 1998 ho partecipato alla fondazione del Partito dei Comunisti Italiani, di cui sono Segretario nazionale.
L’impegno del mio Partito è battere le destre e unire i comunisti per costruire una sinistra più forte, che stia dalla parte del lavoro, dei diritti, della scuola e della cultura, della democrazia.
Ho avuto l’opportunità di fare il parlamentare e il ministro della Giustizia, ma sono stato l’unico segretario di partito a rinunciare volontariamente alla candidatura per lasciare il posto a un operaio della ThyssenKrupp di Torino.
La politica è la mia passione, tuttavia insegnare è la professione che amo. Tranne la breve parentesi da ministro, non ho mai smesso di tenere interamente (e, ovviamente anche gratuitamente!) il corso di Diritto romano all’università di Roma La Sapienza: mi ha aiutato, tra l’altro, a non perdere il contatto con il mondo reale e con le giovani generazioni. Lezioni, esami, tesi di laurea, dialogo continuo con le ragazze e i ragazzi. Di ciò sono particolarmente orgoglioso, più di tanti altri incarichi che ho avuto nella mia vita.
Ho anche diretto il quotidiano “Liberazione” e scritto molti libri: alcuni di politica (pochi), molti di cultura, giuridica e anche “storie di libri”. I libri, dunque. Forse, essi contendono alla politica il primato delle mie passioni. Perché la lezione attualissima di Gramsci è che il mondo, oltre che con le lotte sociali e la politica, si cambia con la cultura, che – se appartiene a tutti e non ad una stretta cerchia privilegiata – è la più formidabile arma di emancipazione e di liberazione dei popoli e delle classi subalterne.