Roberta Zunini

Roberta Zunini

Giornalista

Ogni volta che questa professione mi porta a confrontarmi con la difficoltà di essere “neutra”, mi salva ciò che disse uno dei miei maestri: Indro Montanelli. “Ciò che è importante è farsi comprendere da tutti. Se qualcuno non vi capisce è perché non siete stati chiari e semplici. Qualsiasi persona, indipendentemente dalla classe sociale a cui appartiene, al grado di istruzione, deve capire ciò che scrivete”. Non si tratta solo di una lezione di deontologia professionale ma del giusto approccio alla realtà e al trasferimento di essa in parole, che raccontano fatti. Non opinioni. Sui fatti, dai fatti si può partire per un ragionamento. Ma prima i fatti. Così ho cercato di fare quando ho lavorato con Michele Santoro a Moby Dick e in seguito ad Annozero.

Ho iniziato vent’anni fa, collaborando al Giornale di Montanelli, mi sono trasferita a New York per due anni. Qui ho seguito il primo mandato Clinton, lo statista di Camp David, colui che riuscì a far incontrare e discutere Rabin e Arafat. Da Londra per Michele Santoro ho seguito la prima campagna elettorale di Tony Blair e l’ingresso del New Labour nel governo inglese e quindi la sua conferma alla premiership. Nel frattempo ho studiato ebraico e arabo. La mia passione per il Medio Oriente – concetto del tutto occidentale, coniato dai vincenti di allora – e per l’Oriente, inteso come luogo dove le potenze coloniali avevano giocato il loro “great game” per secoli, è aumentata a partire dagli accordi di Oslo tra Israele e Olp. La posizione e il ruolo di Israele come ponte tra la cultura occidentale e quella islamica, mi ha sempre affascinata in quanto metafora, per definizione, delle contraddizioni umane. Perché si tratta sì di un ponte ma molto flessibile e pericoloso. Siamo tutti, tutto il mondo, coinvolti in questa millenaria diatriba. L’importante è partire dai fatti e quindi scandagliare.

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