Prosegue l’appuntamento con la Newsletter Fatto For Future. Questa settimana, oltre alla consueta rubrica di Luca Mercalli, un’inchiesta di Luana De Micco sui test nucleari dei francesi che hanno provocato morte e danni all’ambiente. Poi il libro che racconta dei tanti preti che lottano contro le Terre dei fuochi italiane. Paolo Cacciari ci spiega perchè la natura non è un bene economico, ma serve un approccio diverso. Fridays For Future e Parents for Future parlano dello sciopero di venerdì prossimo, quando i ragazzi di Greta (e non solo) torneranno in piazza. Per finire la rassegna stampa internazionale.
Buona lettura
Test nucleari in Polinesia, Francia sotto accusa per la contaminazione degli abitanti e dell’ambiente
di Luana De Micco
Il 2 luglio 1966 la Francia ha realizzato il suo primo test nucleare in Polinesia. L’operazione, nome in codice Aldébaran, scattò alle 5:34 del mattino, al largo dell’atollo di Mururoa. L’ordigno aveva una potenza di 30 chilotoni, più dei 18 della bomba sganciata su Hiroshima nel 45. Fu l’inizio di una catastrofe ecologica e sanitaria su cui persistono ancora molte zone d’ombra. Per trent’anni, tra il 1966 e il 1996, la Francia ha effettuato 193 test nucleari, a partire da Mururoa e dal vicino atollo di Fangataufa, di cui 46 atmosferici. Un’inchiesta portata avanti dal media di investigazione online Discose, in collaborazione con il programma Science & Global Security dell’università di Princeton, Stati Uniti (disponibile qui anche in inglese), ha tentato di ricostruire l’impatto reale delle radiazioni, che sarebbe molto più grave di quanto non sia mai stato ammesso dalle autorità francesi. I “Mururoa Files”, pubblicati il 9 marzo scorso, dimostrano infatti che Parigi avrebbero sempre sottovalutato gli effetti dei test sull’ambiente e sulla salute della popolazione locale, esposta a livelli anormali di radiazioni. Per due anni sono state analizzate duemila pagine di documenti d’archivio militari desecretati nel 2013, effettuate perizie scientifiche e raccolte decine di testimonianze. In particolare sono stati ricostruiti tre test: Aldébaran nel 1966, Encelade nel 1971 e Centaure nel 1974. Solo nel caso di Centaure, l’ultima bomba fatta esplodere nell’atmosfera, prima di passare ai test sotterranei, più di centomila persone sarebbero state esposte alla nube radioattiva che, per errore di previsione, raggiunse anche Tahiti, a più di mille chilometri da Mururoa: “Secondo i nostri calcoli, fondati sulla rivalutazione scientifica della contaminazione nella Polinesia francese – scrive Disclose –, circa 110 mila persone sono state esposte alla radioattività, ovvero quasi la totalità della popolazione degli arcipelaghi all’epoca”.
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Il libro
Siamo ancora in tempo!
Come una nuova economia può salvare il pianeta
(Il Saggiatore editore, pagine. 288, euro 23)
di Jason Hickel
È una menzogna che va avanti da anni, da generazioni, da secoli, ormai elevata a verità inconfutabile: il sistema capitalistico, la continua crescita del mercato, la costante ricerca di nuovi profitti sono l’unica realtà possibile, l’unica soluzione per mantenere uno standard di vita e salute a cui non possiamo più rinunciare. Ma è ormai chiaro che questa visione del mondo ci sta portando verso il collasso ecologico definitivo, alimentando al tempo stesso la disuguaglianza e lo sfruttamento di gran parte dell’umanità a favore di un meccanismo inumano e insaziabile.
L’unica speranza di salvare noi e il pianeta è capovolgere non solo il nostro modo di produrre, ma anche il rapporto con la natura: non più entità autonome, ma parte di essa; non sfruttatori, ma collaboratori. È necessario sì ridurre lo spreco di risorse, ma soprattutto ridistribuirle equamente e iniziare a produrre beni durevoli ed effettivamente necessari, spegnendo le sirene della pubblicità e del consumismo. La proposta di Jason Hickel non è sinonimo di decrescita negativa, stagnazione e perdita di posti di lavoro: comporta il passaggio a un tipo di economia completamente diverso, un’economia fondata sui principi della prosperità umana e della stabilità ecologica anziché sull’accumulazione costante del capitale.
Siamo ancora in tempo! non è l’ennesimo grido di allarme per la catastrofe imminente: Hickel ci invita a immaginare un futuro diverso – più giusto e a misura d’uomo – e a lavorare concretamente per realizzarlo, non solo attraverso i nostri comportamenti quotidiani ma cambiando radicalmente il nostro modo di vedere il mondo.
Jason Hickel, antropologo, ha insegnato presso la London School of Economics, la University of Virginia e la Goldsmiths, University of London ed è membro della Royal Society of Arts. Collabora con The Guardian, Al Jazeerae numerose testate online. Oltre a The Divide ha pubblicato Democracy as Death (2015).
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