Prosegue l’appuntamento con la Newsletter Fatto For Future. Questa settimana, oltre alla consueta rubrica di Luca Mercalli, l’allarme dell’agenzia delle Nazioni unite per il forte rischio estinzione che corrono gli elefanti. E questo per via del clima e del bracconaggio (il sanguinario gruppo estremista Boko Haram si finanzia con l’avorio). Il professor Danny Dorling ci spiega l’importanza di “rallentare” e come il processo per quanto riguarda natalità e economia sia già in corso. Un discorso che si intreccia con la salvaguardia dell’ambiente. La Lav ci racconta dei danni provocati dai sussidi alla zootecnia. Mentre Legambiente ci parla delle nostre spiagge, ormai diventate discariche di rifiuti. Per finire la rassegna stampa internazionale.
Buona lettura
L’allarme dell’Onu: “Clima e bracconaggio, gli elefanti sono a forte rischio estinzione”
di Pietro Mecarozzi
L’elefante africano delle foreste e quello della savana rischiano di scomparire del tutto. La prima mappatura del genoma della famiglia Elephantidae ha svelato che in Africa esistono due specie di elefanti, non una come si pensava fino a tre anni fa: l’elefante di savana e l’elefante di foresta. Ed entrambi sono a rischio estinzione.
L’aggiornamento sulla situazione degli elefanti africani arriva dall’IUCN (l’Unione internazionale per la conservazione della natura, osservatore dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite), che nella sua Lista Rossa delle specie a rischio ha di recente aggiornato la posizione di questi mammiferi. Le due specie sono state classificate tra quelle “in pericolo critico” dall’Istituto per la conservazione della natura, dopo che la presenza sul territorio africano si è ridotta nel primo caso di oltre l’86% dal 1990, mentre la popolazione di elefanti della savana è diminuita di oltre il 60% negli ultimi 50 anni.
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Il libro
Geoetica
Manifesto per un’etica della responsabilità verso la Terra
(Prefazione di Telmo Pievani, pagine 224, euro 17,10)
“La stretta relazione tra dissesto geologico e dissesto sociale sottolinea drammaticamente una disattenzione collettiva verso il territorio, che non è semplicemente il luogo dove si nasce o si vive, ma il supporto fisico delle proprie attività, una preziosa risorsa storica, emozionale, economica, e soprattutto uno dei valori fondanti dell’identità umana”. Qualsiasi disastro naturale – che sia alluvione, terremoto, incendio o epidemia – è anche un disastro umano. La natura è sempre più lo specchio del comportamento dell’uomo, del modo in cui si relaziona con i suoi simili, in cui guarda a se stesso e al futuro. Per questo è necessario innanzitutto ripensare il ruolo di chi con la natura ha un rapporto privilegiato. Chi si occupa di scienza, e in particolare chi studia la Terra, ha anche una responsabilità sociale: le sue conoscenze hanno importanti ricadute sulle comunità umane e pertanto non sono proprietà intellettuale del singolo, ma bene collettivo. Lo abbiamo visto di recente: le scelte politiche più delicate si affidano al sapere scientifico, e dunque fondamentale è la gestione etica del sapere, di un patrimonio prezioso, da curare e governare tenendo fede ad alcuni principi e doveri imprescindibili. Dalla coscienza di questa necessità nasce la geoetica, un movimento che raccoglie numerosi scienziati in tutto il mondo. Lo scopo è ridefinire l’interazione con il sistema Terra attraverso un approccio critico, scientificamente fondato, pragmatico, il più possibile distante dalle ideologie, alla luce di valori condivisi. La geoetica considera la Terra un sistema di relazioni complesse, di cui l’uomo è parte integrante e attivo modificatore dei sistemi socio-economici. Ma “cos’è che ci rende umani?”, si chiede Telmo Pievani nella Prefazione al volume. Da quando è comparso sulla Terra, l’uomo non fa che modificarla a suo piacimento. Eppure, scrive Pievani, «non siamo solo invasivi, siamo anche creativi. Immaginiamo mondi nella nostra testa». Il problema è che abbiamo perso quella facoltà. Sommersi La scienza, a volte, può diventare un alibi; ai geo-scienziati sono chieste certezze, quantificazioni. Quello che bisogna esigere, però, è la capacità di immaginare, è lo sguardo ampio e lungo sul futuro, la costruzione di un’etica della responsabilità umana, individuale e collettiva, verso la Terra. Una “geoetica”, che riguardi sì lo scienziato della Terra, la sua etica professionale, ma anche i decisori politici, gli attori dei media, tutti noi.
Autori
Silvia Peppoloni
Silvia Peppoloni, ricercatrice all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, si occupa di rischi naturali, aspetti sociali delle geoscienze e geoetica, di cui è leader internazionale. Segretario generale e co-fondatrice dell’International Association for Promoting Geoethics, consigliere dell’International Union of Geological Sciences, in Italia ha pubblicato per i tipi del Mulino Convivere con i rischi naturali (2014) e Pianeta terra. Una storia non finita (con C. Doglioni, 2016).
Giuseppe Di Capua
Giuseppe Di Capua, geologo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, si occupa di pericolosità geologiche e geoetica. Co-fondatore dell’International Association for Promoting Geoethics, membro del consiglio direttivo dell’International Council for Philosophy and Human Sciences, è autore e curatore di volumi e articoli per editori e riviste internazionali.
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