Prosegue l’appuntamento con la newsletter Fatto For Future. Questa settimana cominciamo da un’analisi di Nicola Borzi sul boom del consumo di carbone nel mondo, spinto ai record dalla pandemia. La cattiva notizia è che la richiesta potrebbe durare per anni, perché Cina e India non intendono abbandonare tanto presto quella che è la fonte fossile più inquinante di tutte. Elisabetta Ambrosi ha indagato invece sulle etichette alimentari del cibo per bambini, scoprendo che la qualità dei prodotti confezionati è molto più scadente di quella degli adulti. Ospitiamo a seguire una sintesi del report dell’Istituto superiore per la protezione ambientale (Ispra), che ha disegnato una mappa in chiaroscuro del piano di transizione ecologica del nostro Paese. Un altro report, quello del Pentapolis Institute ETS, mostra come l’informazione sul clima in Italia tenda a privilegiare le notizie di disastri spettacolari mentre troppo spesso ignora le vere questioni del cambiamento climatico. Infine, nella rubrica Verdi si diventa ci occupiamo di matrimoni, cercando di limitare i danni ambientali che producono le cerimonie sfarzose.
Buona lettura
Il boom del consumo di carbone, spinto dal Covid, potrebbe non essere temporaneo
di Nicola Borzi
Altro che allarmi dei climatologi, proteste degli ambientalisti, trattative tra Governi alla Cop26, la ventiseiesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si è tenuta a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre e si è chiusa con un accordo al ribasso: nel 2022 l’aumento dei consumi elettrici in Cina, India e Stati Uniti porterà a un nuovo massimo storico la domanda globale di energia ottenuta dal carbone, la peggiore tra tutte le fonti fossili.
La denuncia è contenuta nell’ultimo report globale sul carbone pubblicato il 17 dicembre dall’Agenzia internazionale per l’energia (Iea). Già quest’anno si chiuderà con una produzione globale di elettricità dal carbone che dovrebbe raggiungere il nuovo record storico a quota 10.350 terawattora, in crescita del 9% sul 2020. A guidare i consumi è stata la rapida ripresa economica dalla recessione causata dalla pandemia, che secondo l’Iea ha “fatto crescere la domanda di elettricità molto più velocemente di quanto la produzione da fonti a basse emissioni di carbonio potesse tenere il passo”.
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Il libro
E il giardino creò l’uomo. Un manifesto ribelle e sentimentale per filosofi giardinieri
di Jorn de Précy
(Edizioni Ponte alle Grazie, 10 euro, pp. 128)
Il giardino: ultimo rifugio della spiritualità e della poesia; ultima frontiera al di qua della barbarie e dell’alienazione; ultima utopia – ma un’utopia pratica, tangibile. Questi i temi che il giardiniere-filosofo Jorn de Précy – attivo a cavallo fra Otto e Novecento e di cui poco si sa, ma che è da sempre oggetto di venerazione da parte degli appassionati – ha riunito nel suo E il giardino creò l’uomo. Questo scritto vibrante è soprattutto il manifesto di un’idea del giardino che l’autore riuscì a realizzare nella sua tenuta di Greystone, nell’Oxfordshire; un’idea straordinariamente attuale e ancora, nella sostanza come nella forma, rivoluzionaria, quella del giardino selvatico. Nel fare il giardino, l’uomo – sostiene de Précy – deve restare in ascolto della natura, del genius loci, non forzare ma assecondare le forze che vi operano, mettendosi al loro servizio e riallacciando così il legame con il mondo naturale; il quale lo ripagherà regalandogli il piacere più compiuto e nello stesso tempo inesauribile, lo spettacolo della vita e delle stagioni. Trattato di storia dei giardini, memoir e nello stesso tempo appassionato pamphlet politico, E il giardino creò l’uomo è anche il ritratto di un uomo originale e, a suo modo, enigmatico; al termine della lettura ci sembra di vederlo scomparire lungo uno dei sentieri dell’amato Greystone, a raggiungere gli dèi che si celano tra le sue piante.
Jorn de Précy nasce a Reykjavik nel 1837, figlio di un ricco commerciante discendente da una stirpe bretone. Dopo aver visitato Roma e la Toscana e aver vissuto a Venezia e a Parigi, nel 1861 si stabilisce in Inghilterra. Trascorre alcuni anni a Londra e quindi nell’Oxfordshire, dove nel 1865 acquista il giardino di Greystone. E il giardino creò l’uomo, pubblicato in Inghilterra nel 1912, è il suo unico scritto giunto alla pubblicazione.
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