Prosegue l’appuntamento con la newsletter Fatto For Future. Questa settimana, oltre alla rubrica di Luca Mercalli, ci occupiamo di banche che investono in business inquinanti: Elisabetta Ambrosi elenca alcune strategie per ridurre l’impatto ambientale dei nostri conti correnti. Luana De Micco ci racconta uno degli effetti del caldo di questa estate: il calo drammatico della produzione di grano, con ripercussioni sui prezzi, ma anche sulla produzione della pasta. Nella rubrica associazioni, la Lega Anti Vivisezione denuncia il fenomeno sommerso delle fiere di specie esotiche in Italia, che oltre a una violenza contro gli animali rappresentano un rischio sanitario. Fridays For Future ci consegna il suo giudizio sulla settimana della Pre-Cop26 a Milano, salvata solo dalle mobilitazioni di strada del movimento dei giovani ambientalisti. Infine, nella rubrica “Verdi si diventa” impariamo a scegliere e a usare con accuratezza i detersivi, tra i prodotti casalinghi più dannosi per il Pianeta.
Buona lettura.
Quando il conto corrente fa male all’ambiente: come evitare di affidare i soldi alle “banche fossili”
di Elisabetta Ambrosi
“Si parla molto di plastica, riciclo, risparmio idrico e tante altre cose. Ma il problema degli investimenti fossili della finanza, cioè delle banche di cui ci fidiamo, è un problema molto più grande. Per questo cominciare a mettere il naso sull’utilizzo che il nostro istituto bancario fa dei nostri soldi è un’azione poco nota ma che può fare una grandissima differenza”. Nicoletta Dentico, giornalista, scrittrice esperta di salute globale e diritti umani auspica che, rispetto alla sostenibilità degli investimenti delle banche, accada quanto avvenne rispetto alle armi. “In Italia, grazie alla spinta dal basso e a una sensibilità diffusa, si arrivò a una legge sul commercio delle armi, la 185 del 1990, che imponeva alle banche trasparenza sui loro investimenti legati alle armi. Oggi dovrebbe essere lo stesso verso il sostegno alle industrie fossili”. Perché il problema – grave – è che mentre noi ci impegniamo per la raccolta differenziata la nostra banca potrebbe sostenere aziende che concretamente fanno male al pianeta.
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Il libro
Geografie del collasso
di Matteo Meschiari
(edizioni Piano B euro 14, pp. 136)
Covid-19 è il primo grande trauma collettivo dell’Antropocene, una catena di eventi materiali, culturali e sociali che stanno aggredendo il nostro immaginario con un impatto incalcolabile. Un effetto profondo della pandemia sarà costringere l’umanità al prossimo step cognitivo: l’accettazione della fine della pace climatica dell’Olocene. Abbiamo bisogno di tempo, ma il tempo a disposizione è poco. Negare il trauma, fare come l’erbivoro assalito dalla belva che si anestetizza per non vedere la fine è qualcosa che non possiamo permetterci. Dissoluzione degli ecosistemi terrestri, questione animale, mutamento climatico, inquinamento e dissesto demografico, diaspora, populismo, suprematismo, erosione delle risorse, rinuncia alla complessità e banalizzazione del pensiero: siamo ancora lontani dall’estinzione, ma le sfide che attendono noi e i nostri figli sono vertiginose e inquietanti. Bisogna prepararsi con strutture mentali solide, praticare modelli etici inclusivi e immaginare con coraggio delle alternative. Geografie del collasso è stato scritto per cominciare a capire il cambiamento, per reagire come persone pensanti agli effetti inevitabili dell’Antropocene.
Matteo Meschiari (Modena, 1968) è antropologo, geografo e scrittore. Si occupa di preistoria, paesaggio, letteratura e dinamiche culturali dell’Antropocene. Con Antonio Vena ha ideato il Progetto Tina e i blog La Grande Estinzione e Il problema di Grendel. Tra le pubblicazioni più recenti: Nelle terre esterne. Geografie, paesaggi, scritture (Mucchi, 2018), L’ora del mondo (Hacca, 2019), Neogeografia. Per un nuovo immaginario terrestre (Milieu, 2019), Antropocene fantastico. Scrivere un altro mondo (Armillaria, 2020).
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