Prosegue l’appuntamento con la newsletter Fatto For Future. Iniziamo da un’indagine sulle nuove strategie di comunicazione delle grandi multinazionali del fossile: attivisti e ricercatori ambientali hanno provato che “Big Oil” interviene nelle discussioni online sul cambiamento climatico per far passare l’idea di essere la soluzione invece che il problema. Ce lo racconta Riccardo Antoniucci. A seguire Elisabetta Ambrosi ha intervistato l’esperta Annalisa Corrado, che aiuta le aziende a intraprendere un cammino sostenibile, ma critica le scelte del governo in tema ambientale. Per le associazioni Italia Nostra punta il dito contro l’invasione dell’eolico al Sud, che – senza una pianificazione – rischia di gravare troppo sul territorio. Mentre lo scrittore ecologista Gianfranco Mascia racconta il suo sciopero della fame contro il governo che fa poco per l’ambiente. Poi la consueta rubrica di Luca Mercalli. Infine, in “Verdi si diventa” tutti i consigli per un Natale green.
Buona lettura
Cop26, così Big Oil nasconde il problema: social inondati di finto “green”
di Riccardo Antoniucci
Per anni la loro principale strategia si è basata sul dubbio: screditare attivisti e scienziati che lanciavano allarmi sull’inquinamento e fomentare la diffidenza rispetto ai risultati delle ricerche e sulle politiche ambientali. In questo, le multinazionali dei combustibili fossili non hanno agito diversamente dalle altre grandi industrie dannose come quelle del tabacco o del cibo industriale.
Negli ultimi anni diverse inchieste hanno portato alla luce documenti che dimostrano che Big Oil sapeva già dagli anni 60 che la combustione di idrocarburi produce riscaldamento climatico, ma per decenni l’hanno tenuto nascosto. Ora, però, mentre il tema del cambiamento climatico si fa sempre più urgente nella discussione pubblica e nel dibattito politico, le grandi aziende del petrolio e del gas provano a costruirsi un altro volto. Un volto “green”, per dare l’impressione che le loro attività come parte della soluzione, invece che come l’origine del problema.
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Il libro
Terra fragile
Il cambiamento climatico nei reportage del New Yorker
di David Remnick e Henry Finder
Neri Pozza Editore, pagine: 512, tradotto da: Raffaella Vitangeli, prezzo: € 25
Una raccolta di memorabili reportage sul cambiamento climatico, apparsi sul New Yorker negli ultimi trent’anni, dalle penne di Bill McKibben, Elizabeth Kolbert, Jonathan Franzen, Kathryn Schulz e molti altri.
Il New Yorker vanta una solida tradizione di articoli sulla vulnerabilità del mondo naturale che risale sino ai primi anni Cinquanta. Da quando, però, nel giugno del 1988, James Hansen, uno studioso delle condizioni atmosferiche del pianeta, mostrò al senato americano che il consumo sfrenato di combustibili fossili produceva un inusitato riscaldamento della terra dalle possibili, catastrofiche conseguenze, gli scritti sulla vulnerabilità lasciarono il posto, sulle pagine del New Yorker, ad ampi, meditati reportage sul cambiamento climatico e sui suoi nefasti esiti. Nel 1989 apparve un lungo saggio di Bill McKibben intitolato Riflessioni: La fine della natura. Era la prima accurata analisi, Condotta in ambito non scientifico, della sparizione di ogni ecosistema non influenzato dall’attività dell’uomo e, di conseguenza, dei disastri ambientali generati dall’irruzione di tale evento nella storia naturale del pianeta. In quegli anni, tuttavia, in cui non si assisteva ancora allo scioglimento delle calotte glaciali e all’estinzione massiccia di alcune specie, il saggio apparve come una sorta di letteratura fantastica che non offriva altro che uno scenario distopico. Oggi, le argomentazioni di Bill McKibben e le previsioni di Hansen – violenti uragani, siccità, incendi e alluvioni – non soltanto si sono dimostrate profetiche, ma in alcuni casi sono state tristemente superate.
Ondate di caldo record, livello dei mari in aumento, ghiacciai che minacciano di scomparire, calotte sempre pi∙ sottili, estinzioni di numerose specie sono all’ordine del giorno. I reportage, apparsi sul New Yorker dagli anni Ottanta in poi, e raccolti in questo volume da David Remnick e Henry Finder, ripercorrono la storia di questa drammatica crisi ambientale. Dalla Groenlandia alle Grandi Pianure, da sepolcrali laboratori a foreste pluviali color smeraldo, attraverso gli scritti di divulgatori scientifici, saggisti e altri autori impegnati a «riflettere in mezzo alle intemperie», i diversi approcci al tema del cambiamento climatico presenti in queste pagine offrono un quadro esaustivo di ciò che ci aspetta nell’immediato futuro. Un quadro che ha un solo scopo: destare un comune desiderio di cambiamento e chiamare all’impegno per cercare di evitare, o almeno saper affrontare, i disastri causati dagli sconvolgimenti ambientali in corso.
AUTORI
David Remnick: è redattore del New Yorker dal 1998 e uno scrittore dello staff dal 1992. I suoi libri includono il Premio Pulitzer Lenin’s tomb: The Last Days of the Soviet Empire, King of the World: Muhammed Ali and the Rise of an American Hero e The Bridge: The Life and Rise of Barack Obama.
Henry Finder: è il direttore editoriale del New Yorker dal 1997. Già redattore esecutivo del trimestrale Transition, ha curato diverse antologie tratte dagli archivi del New Yorker.
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