Prosegue l’appuntamento con la Newsletter Fatto For Future. Questa settimana, oltre alla consueta rubrica di Luca Mercalli, il cardinale Ravasi parla del ruolo della Chiesa (e della fede) nella salvaguardia dell’ambiente. Giulia Innocenzi ci illustra il rapporto della Lav sul consumo di carne in Italia (presentato oggi in partnership con Ilfattoquotidiano.it) e i dati non sono affatto incoraggianti per la salute e per l’inquinamento. Mentre Guido Biondi ci spiega come si fanno gli orti sui balconi, anche per alleviare il lockdown. Il Wwf, con Isabella Pratesi, lancia una suggestione: un ministero per il Futuro. Poi l’iniziativa del Comitato Alberitalia per piantare (e poi curare) un albero ogni abitante. La Società Italiana di Selvicoltura e di Ecologia Forestale ci illustra i progetti in corso. Per finire la rassegna stampa internazionale.
Buona lettura
Il cardinal Ravasi: “La Bibbia insegna a custodire e amare la terra. L’alleanza tra scienza e fede è centrale”
di Elisabetta Ambrosi
“Ama il prossimo tuo come te stesso significa anche ama la terra come te stesso: per la Chiesa tutto ciò che è creato è al tempo stesso ‘buono e bello’ e aver rotto quell’armonia originaria è un crimine”. Nel suo ultimo libro, Il grande libro del Creato. Bibbia ed ecologia (San Paolo ed.) Sua Eminenza Gianfranco Ravasi, esperto biblista ed ebraista, cardinale dal 2010 e Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, racconta la ricchezza ‘ecologica’ della Bibbia e il valore simbolico di luce, acqua, monti, alberi, animali, cibo. E spiega, con passione, perché fede e scienza non siano assolutamente divergenti, anzi, anche riguardo all’ambiente, possano andare di pari passo, come ha mostrato l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco.
Cardinal Ravasi, come mai abbiamo perso il senso ogni senso di sacralità della terra e dei suoi elementi e in che modo la Bibbia può aiutarci a riscoprirlo?
Non solo nella Bibbia, che è il grande codice della culturale occidentale per credenti e non credenti, ma in tutte le culture esiste una concezione anche simbolica della natura, per la quale il mondo è quasi come un testo da leggere. Purtroppo, oggi, è prevalsa invece una concezione solo funzionale e tecnica, che non è neppure quella propria della scienza. Infatti la scienza è più della tecnica, rappresenta anche un tentativo di scoprire gli effetti esterni della ricerca, senza affidare tutto alla mera funzionalità che è deleteria perché considera la natura solo come uno strumento da usare e gettare via, quando non è più utile e fruibile.
(continua a leggere)
Il libro
I vestiti che ami vivono a lungo
editore Corbaccio, pp. 312, euro 18
di Orsola de Castro
Non abbiamo più spazio per i vestiti che acquistiamo compulsivamente? Siamo curiosi di sapere come possiamo fare la differenza nella battaglia sul cambiamento climatico? Impariamo a vestirci con abiti belli, a farli durare a lungo, in armonia con la nostra personalità e con il pianeta. Nei Vestiti che ami vivono a lungo, Orsola de Castro, stilista e fondatrice di Fashion Revolution, ci parla di moda, di estetica, di taglia-e-cuci, del piacere di vestirci costruendo al contempo una nostra identità. Ma il suo è anche un libro politico, scritto da una donna che per decenni ha operato nel fashion system, che da dentro ne ha potuto conoscere la volatilità, le contraddizioni, gli sprechi, addirittura i crimini, e che ha deciso di lavorare per trasformarlo radicalmente. E la sua forza sta nel farci capire che la vera politica incomincia da scelte individuali, da gesti quotidiani che appartengono al nostro vissuto collettivo, come prendere in mano un ago e un filo per riparare qualcosa che altrimenti siamo costretti a buttare. E scoprire che è un gesto non solo necessario, ma anche bello: perché rimanda a saperi perduti e capaci di rendere tutto ciò che è standardizzato e impersonale incredibilmente unico e simile a noi.
L’autrice: designer, curatrice, attivista, fondatrice di Fashion Revolution, il più grande movimento di attivismo nella moda, presente in 92 paesi, vive a Londra da molti anni e si batte da tempo per una moda più sostenibile e trasparente. L’idea di Fashion Revolution nasce dalla tragedia del Rana Plaza in Bangladesh, il crollo di una fabbrica di abiti in cui morirono oltre mille operaie che lavoravano in condizioni molto vicine alla schiavitù, spesso per marchi che compriamo senza troppo pensarci nelle nostre high-street.
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