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19 Maggio 2023
Ogni regola ha la sua eccezione. Così, anche se non ne ha la statura, ci siamo convinti che Carlo Calenda soffra della sindrome di Napoleone. A testimoniarlo non vi sono solo i suoi frequenti scoppi d’ira, l’aggressività e la prepotenza. C’è anche l’atteggiamento di chi lo circonda passato nel giro di pochi mesi dal servo encomio al codardo oltraggio. Ora che Matteo Renzi gli sta portando via iscritti e parlamentari, tanto da rendere probabile l’ingresso dello stesso Calenda nel gruppo misto del Senato, la grande stampa gli volta le spalle. Il tanto evocato terzo polo, all’improvviso diventa terzo pollo. E sui quotidiani e e nelle trasmissioni tv, che solo 10 mesi fa esultavano per i liberal socialisti riformisti, è tutto un florilegio di “è finita come si sapeva”, “tutto come previsto”, “noi lo avevamo detto”. Per questo, ora che è nella polvere, ci viene quasi per solidarizzare con Calenda. Non per la sua statura politica. Ma perché non ha ancora capito di essere stato mollato da giornali, tv, establishment ed élite, solo perché le élite si sono accordate con Giorgia Meloni. Che è sì più bassa di lui (e di Napoleone), ma non ha i suoi complessi e sopratutto è al governo. L’industria e la finanza stanno con lei. E senza sponsor, Carlo il bonapartista è sempre più solo.
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