I TALEBANI VERSO IL GOVERNO, MA LA SHARIA NON È SOLO COSA LORO. Nessun esecutivo vedrà la luce prima del ritiro totale dei soldati stranieri dal suolo afghano, dicono i talebani, che però hanno già nominato un governatore ad interim della banca centrale “per cominciare a mettere ordine”. Il gruppo islamista ha anche fatto sapere che non accetterà dilazioni rispetto alla data stabilita per il ritiro occidentale, il 31 agosto, anche se fonti di Berlino hanno fatto filtrare che sarebbe partita una trattativa per un prolungamento, con il sostegno della Turchia. Finora da Kabul sono state evacuate oltre 30 mila persone, secondo le stime del Pentagono, ma sarebbero ancora 20 mila i cittadini afghani assiepati attorno all’aeroporto internazionale nel tentativo di lasciare il Paese. Nel resto della città, dal suo presidio ospedaliero Emergency riferisce che la situazione appare stabilizzata: “Nelle ultime 48 ore a Kabul abbiamo avuto 15 pazienti, che è un numero piuttosto basso. Ieri abbiamo incontrato il ministro della Salute che ci ha accolto e assicurato la massima collaborazione. Nella città ci sono numerosi check point talebani, sembra vuota, il traffico di mezzi è molto diminuito”, ha detto il coordinatore locale della ong fondata da Gino Strada, Alberto Zanin. Domani si svolgerà un summit straordinario tra i paesi del G7, convocato dal premier britannico Boris Johnson, e c’è attesa per il nuovo discorso di Biden. Proprio il presidente Usa comincia a sentire qualche contraccolpo interno: due sondaggi riportano che il suo gradimento è sceso al 46% (15 punti in meno rispetto ad aprile) e che, nonostante il 63% degli americani sia ancora favorevole al ritiro, solo il 47% ne approva la modalità. Oltre alla cronaca dall’Afghanistan, la politica americana sarà al centro di un’analisi che leggerete sul Fatto di domani. Ma ricorderemo anche, sfatando una retorica molto di moda sul caso afghano, che tra nord Africa e Medio Oriente sono tanti i Paesi dove le interpretazioni restrittive della sharia sono legge; alcuni di loro sono alleati dell’Occidente. Sul giornale anche un intervento di Pino Arlacchi, sociologo ed ex presidente della fondazione Falcone, sul traffico di oppio afghano e sulle strategie per bloccarlo. Domani alle 14 i ministri degli Esteri, Luigi Di Maio, e della Difesa, Lorenzo Guerini, riferiranno sull’Afghanistan in Parlamento.
“MAI PARLATO CON DRAGHI DI DURIGON”, E SALVINI RIPARTE ALL’ATTACCO DI LAMORGESE. Sembrava il giorno perfetto per una svolta, e invece il contatore del silenzio di Mario Draghi sul sottosegretario fascioleghista che vuole intitolare un parco al fratello di Mussolini neanche oggi ha smesso di girare. Siamo arrivati a 18 giorni senza una parola sul caso. Eppure, il premier ha incontrato proprio oggi Matteo Salvini a Palazzo Chigi. Il leader leghista, da un comizio a Roma, aveva detto di aver sentito Draghi al telefono e di aver parlato solo “di Afghanistan, salute e lavoro”, aggiungendo: “Non credo abbia come priorità i parchi di Latina. Con lui non abbiamo mai parlato di Durigon”. Stando a questa versione, il premier non avrebbe mai sentito la necessità di chiedere conto di una vicenda che da settimane suscita in una parte dell’opinione pubblica sdegno, critiche e richieste di dimissioni. Pd, M5s e Leu hanno promesso una mozione di sfiducia in Parlamento, riconfermata oggi da Enrico Borghi del Pd. E pare che di Durigon non si sia parlato neanche nell’incontro tra i due a Palazzo Chigi (durato non più di mezz’ora). La versione ufficiale è che si è discusso “dei temi legati alla ripresa dell’attività di governo”. Poi Salvini è volato in Umbria e ha ripreso a picchiare duro contro la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, seguendo un canovaccio rodato: “Non sta svolgendo il suo ruolo e a dirlo sono i numeri. Sul fronte dell’immigrazione clandestina siamo quasi a quota 40 mila sbarchi, mi domando come il ministro passi le sue giornate”. Sul giornale di domani vedremo in che modo il caso Durigon si intreccia con la levata di scudi leghista contro Lamorgese. La nostra petizione per chiedere le dimissioni del sottosegretario ha superato 160 mila firme.
COVID È QUANDO ARBITRO FISCHIA. Nel vedere le immagini delle prime partite del campionato di calcio, non può non tornare la massima del grande allenatore Vujadin Boskov, solo che il questo caso applicata alla pandemia. Nelle grandi città gli stadi si sono riempiti abbastanza da far impallidire gli assembramenti sulle spiagge: soprattutto in curva i tifosi erano ammassati senza controllo sulle mascherine, ci sono stati giocatori che a fine partita hanno abbracciato gli ultras, in alcuni casi le persone hanno provato a entrare con green pass fasulli. Insomma, altro che rischio ragionato. Tutte immagini, poi, che stridono con il tira e molla sulla scuola. Domani, come leggerete sul giornale, è previsto l’incontro tra il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, e i sindacati. Mentre il primo va ripetendo che i docenti senza green pass vanno sospesi, i secondi ritengono insostenibile dover controllare tutti. Analogo braccio di ferro tra Confindustria e sindacati per le mense aziendali. A chiedere l’obbligo di green pass “per la Pubblica amministrazione e anche per garantire la continuità dei servizi” è stato oggi il il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa. Di fatto c’è che il numero delle vaccinazioni preoccupa ancora molto, tanto che il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, ha azzardato: “Se a metà settembre non avremo raggiunto l’80% dei vaccinati valuteremo una forma di obbligo” (a New York da oggi chi lavora a scuola deve obbligatoriamente vaccinarsi). Qui i numeri di giornata.
BENVENUTI NEL DIMENTICATOIO D’ITALIA. Il 24 agosto 2016 alle 3.36 di notte, una scossa di magnitudo 6.0 devasta il centro Italia. È la prima di trecento. Amatrice, Accumoli e Arquata i centri più colpiti. Le vittime sono 303, 299 delle quali morte sotto le macerie. Cinque anni dopo, rassegnazione, rabbia e incertezza sono i sentimenti prevalenti di chi vive nell’area del cratere. Dodicimila famiglie, secondo l’ultimo rapporto del commissario all’emergenza sisma, sono tornate a casa, ma la maggior parte vive ancora in soluzioni abitative d’emergenza o con contributi per l’affitto. Uno striscione accoglie chi arriva: “Benvenuti nel dimenticatoio d’Italia”. Sul giornale di domani il nostro reportage dal centro Italia, dalle aree che sarebbero dovute rinascere a ogni diverso presidente del Consiglio, ma che invece vedono ancora macerie ovunque e cantieri deserti.
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