EX SENATORI, TORNANO I MAXI ASSEGNI: UN VITALIZIO È PER SEMPRE. Grazie all’astensione del Pd, il berlusconiano Luigi Vitali ha guidato la manovra in Commissione in Senato per annullare, nell’ultima seduta utile prima dell’insediamento dei nuovi componenti rispetto alla legislatura in attività, il taglio ai vitalizi dei senatori che era stato stabilito nel 2018 con la delibera numero 6 voluta dal Movimento Cinque Stelle. Il taglio voluto dai pentastellati prevedeva il ricalcolo dell’assegno in base ai contributi versati e non allo stipendio da senatore. La via di fuga trovata dal Consiglio di garanzia di Palazzo Madama – organo inappellabile per tutte le questioni che riguardano i senatori – è questa: si trattava di un provvedimento a tempo determinato, e quel tempo è scaduto. Nel 2020 il taglio era stato già ridotto, ma ora si torna al punto di partenza. Importante l’astensione di Valeria Valente, senatrice del Pd: ha votato a favore Ugo Grassi (Idea Cambiamo!), contrari Alberto Balboni (Fratelli d’Italia) e Pasquale Pepe (Lega). La decisione è passata per 3 voti a 2: il voto di Vitali vale doppio, in virtù della sua carica di presidente. Sul Fatto di domani leggeremo altri particolari su quanto costeranno allo Stato questi maxi vitalizi – dal 2018 erano stati risparmiati 40 milioni di euro l’anno – e chi sarà il beneficiario: 851 ex senatori e 444 familiari. Amaro il commento di Giuseppe Conte, leader dei 5S: “Misure contro il carovita, l’aumento di mutui e degli affitti? Macché. I patrioti di Giorgia Meloni evidentemente hanno altre priorità: il ripristino dei privilegi per i parlamentari”. Sull’argomento leggeremo anche una intervista alla senatrice pentastellata, Mariolina Castellone.
IL SENSO DI GIUSTIZIA DELLA DESTRA: MELONI SE LA PRENDE CON I PM E ACCELERA LA SCHIFORMA NORDIO. Alla grana politico-giudiziaria Santanchè, si è aggiunta anche l’imputazione del sottosegretario Andrea Delmastro, richiesta dal gip di Roma per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione al caso Cospito. Così, la premier Giorgia Meloni è partita all’attacco, cercando di recuperare dall’affanno politico e dai malumori degli ultimi giorni. Le solite “fonti” di Palazzo Chigi fanno filtrare il dubbio che “una parte della magistratura abbia deciso di inaugurare la campagna elettorale per le Europee”. L’attacco alla magistratura sembra un revival berlusconiano dei “bei tempi”. Sul caso Delmastro, il governo mostra perplessità sulla richiesta di imputazione coatta ignorando che la pratica, invece, è diffusa nei tribunali. Rispetto al caso Santanchè, dopo la sua informativa in Senato del 5 luglio, il governo afferma che è “fuori legge apprendere di essere indagati dai giornali, in un procedimento in cui gli atti sono secretati”. Anche in questo caso, l’affermazione è falsa. L’ultima idea del governo , si apprende oggi, sarebbe di rendere segreta – e quindi impubblicabile – ogni notizia relativa a un avviso di garanzia. L’occasione non poteva sfuggire al ministro Nordio, che dal suo ministero fa filtrare “sconcerto e disagio per l’ennesima comunicazione a mezzo stampa di un atto che dovrebbe rimanere riservato” e ricorda che la sua riforma “mira ad eliminare questa anomalia”. Nordio è in Giappone al G7 dei ministri della Giustizia e risponde alla Commissione UE sull’abuso di ufficio, che aveva rilevato i rischi di aumento della corruzione, spiegando che il nostro codice penale prevede altri reati contro la pubblica amministrazione. Sul Fatto di domani vedremo che il governo di Meloni punta ad accelerare sulla riforma della Giustizia, bloccata da due settimane al ministero perché mancano le coperture sull’assunzione di 250 giudici. Quando il disegno di legge arriverà al Senato, si punterà sul proibire la pubblicazione del contenuto di atti giudiziari in fase di indagine, anche se non segreti, e su un intervento sulle intercettazioni.
SANTANCHÈ DEVE DIMETTERSI, LA NOSTRA PETIZIONE. LA RUSSA CONTRO LA DONNA CHE HA DENUNCIATO IL FIGLIO. Salta all’occhio la coincidenza tra questa nuova ondata di attacchi al sistema giudiziario e il terremoto politico che da giorni sta travolgendo Daniela Santanchè per l’indagine sulla gestione delle società che ha presieduto e di cui è stata azionista, Visibilia, Bioera e Ki group srl, per cui è indagata insieme ad altre 5 persone (tra cui la sorella e il compagno). Sul Fatto abbiamo smentito in varie occasioni la versione data dalla ministra del Turismo in Parlamento: sul giornale di oggi abbiamo raccontato come Visibilia, gruppo editorial-pubblicitario di cui Santanchè è stata presidente e amministratrice delegata dalla fondazione nel 2008 sino a metà novembre 2021, ha ricevuto forti sostegni pubblicitari sotto forma di pubbliredazionali pagati in parte da enti pubblici e partecipate statali. Sul Fatto di domani continueremo a seguire il caso. La strategia della ministra è ripararsi dietro la figura politica e istituzionale di Ignazio La Russa. Oggi però il presidente del Senato è stato toccato da un altro problema, familiare. Una 22enne ha denunciato per violenza sessuale il figlio minore, Leonardo Apache La Russa, 19enne. Il fatto, secondo la denuncia, è accaduto il 18 maggio a casa del giovane dopo una serata in discoteca. L’inchiesta è stata aperta a Milano, ma il padre di Leonardo Apache, presidente del Senato e di mestiere avvocato, il processo sembra averlo già fatto. Alle agenzie, Ignazio ha dichiarato di aver “a lungo interrogato il figlio” e aver accertato che non avrebbe “compiuto alcun atto penalmente rilevante”. Poi se la prende con la ragazza: “Di sicuro lascia molti interrogativi una denuncia presentata dopo 40 giorni. Lascia oggettivamente molti dubbi il racconto di una ragazza che, per sua stessa ammissione, aveva consumato cocaina prima di incontrare mio figlio. Sostanza che lo stesso Leonardo sono certo non ha mai consumato in vita sua”. Frasi che hanno provocato una levata di scudi da parte dell’opposizione, in particolare da parte del Pd di Elly Schlein. Sul giornale e sul nostro sito abbiamo lanciato la petizione Santanchè dimettiti, attraverso la piattaforma Io Scelgo. Firma qui.
GUERRA IN UCRAINA, ZELENSKY INCONTRA ERDOGAN. Il DIPARTIMENTO USA: SCARSA MANUTENZIONE SUI RIFORNIMENTI MILITARI A KIEV. Il presidente ucraino Zelensky prosegue il suo tour: oggi è stato in Slovacchia, a Bratislava, dove ha criticato le indecisioni della Nato di ammettere nell’Alleanza sia Kiev che la Svezia, e nella Repubblica Ceca, dove il primo ministro Petr Fiala ha promesso un sostegno per l’addestramento dei piloti su simulatori di caccia F-16, i jet da combattimento richiesti da Kiev ma non ancora ottenuti. Inoltre, Praga metterà a disposizione elicotteri e “nei prossimi mesi consegnerà 100.000 munizioni di grosso calibro”. Ma l’attenzione principale della comunità internazionale è sul dialogo tra Zelensky ed il presidente turco Erdogan a Instabul. Il “sultano” è stato già impegnato nelle trattative per sbloccare le partenze delle navi ucraine cariche di grano dai porti sul Mar Nero e ora vuol giocare un ruolo – forte del suo buon rapporto con il presidente russo Putin – per trovare una via di dialogo tra i due contendenti. Seguiamo con attenzione la tappa di Zelensky a Istanbul, ha detto il Cremlino. Questione bombe a grappolo: dopo aver tergiversato, gli Usa hanno deciso di concederle a Kiev, come pubblica il Washington Post; le cluster bomb sono inserite nel nuovo pacchetto di aiuti da 800 milioni di dollari. In Europa, la Germania invece ha subito detto che non lo farà. Il segretario della Nato, Stoltenberg: l’Alleanza non ha una posizione comune sulle munizioni a grappolo perché alcuni Paesi hanno sottoscritto la convenzione Onu che le mette al bando, e altri no. Dunque, per Stoltenberg, “spetta ai singoli Stati” decidere quali armi e munizioni fornire all’Ucraina. E a proposito di armi, sul Fatto di domani leggeremo come gli ispettori del Dipartimento della Difesa americana in un rapporto abbiano evidenziato la scarsa qualità delle forniture concesse a Kiev. Insomma, al fronte sono state spedite armi e munizioni che erano da tempo nei magazzini e che in alcuni casi non sono state revisionate a dovere.
LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE
Indagine per corruzione, torna libero Minenna. L’ex direttore dell’Agenzia delle Dogane, finito ai domiciliari il 22 giugno scorso nell’ambito di un’inchiesta per corruzione della procura di Forlì, si è visto annullare la misura cautelare a suo carico dopo l’istanza presentata dai difensori. Minenna è sotto indagine per presunti favori all’imprenditore ed ex deputato leghista Gianluca Pini.
L’Istat certifica il lavoro povero. L’ultimo rapporto dell’istituto nazionale di statistica certifica un’economia che cresce proporzionalmente alle disuguaglianze. La retribuzione media annua lorda in Italia nel 2021 era pari a 27mila euro, circa 3.700 euro in meno della media Ue, cioè il 12% in meno, e 8mila euro in meno della Germania.
Sangiuliano ha votato i libri finalisti Strega ma non li ha letti. Polemica per le dichiarazioni del ministro della Cultura, che è nella giuria del massimo premio letterario italiano assegnato ieri ad Ada D’Adamo. Ieri sera ha lasciato intendere di non aver letto i libri finalisti: “Le storie raccontate dai romanzi arrivati in finale fanno riflettere, proverò a leggerli”.
Morto Arnaldo Forlani, storico leader Dc. Funerali di stato e lutto nazionale fino al 10 luglio. Lo storico protagonista politico della Prima Repubblica, ex presidente del Consiglio durante il terremoto in Irpinia, due volte segretario della Democrazia cristiana e parlamentare per 9 legislature dal 1958 al 1994, era stato travolto dallo scandalo P2.
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Un reporter contro un hacker criminale: gli Usa cedono allo scambio voluto dal Cremlino
di Michela A. G. Iaccarino
Nei giorni dell’anniversario più buio si apre uno spiraglio di luce. Nelle celle di Lefortovo, la prigione di Stalin, rimane da cento giorni Evan Gershkovich, il 32enne reporter americano del Wall Street Journal, arrestato in un ristorante di Ekaterinburg lo scorso 29 marzo con una falsa accusa di spionaggio, mentre lavorava a un reportage sulla Wagner. Adesso, per ammissione dello stesso Cremlino, i funzionari russi e americani stanno discutendo della sua liberazione e di uno scambio prigionieri. “Mosca e Washington hanno affrontato la questione” ha detto il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, lo scorso 5 luglio, aggiungendo che “ci sono stati contatti sull’argomento, ma non vogliamo che se ne parli in pubblico”. In cambio del giornalista, la Federazione vuole che torni in patria il membro di un gruppo cybercriminale tra i più letali degli ultimi anni.
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