CORRUZIONE, L’ALLERGIA DI MELONI PER GLI ORGANI DI CONTROLLO: ALLA CONFERENZA ONU NON CI SARÀ L’ANAC. Per la prima volta dalla nascita dell’Autorità nazionale contro la corruzione (Anac) nessuno dei suoi esponenti parteciperà alla conferenza annuale dell’Onu, proprio sul tema della lotta alla corruzione. Il consesso aprirà i battenti lunedì ad Atlanta (Stati Uniti) e a rappresentare il governo ci sarà il ministro Nordio. Oggi, in occasione della giornata internazionale contro la corruzione, il presidente Mattarella ha lanciato il suo messaggio: “Legalità e onestà sono condizioni imprescindibili per una crescita giusta e sostenibile”. Per il governo Meloni, tuttavia, il valore da difendere sembra essere l’impunità, tanto da mostrare una certa allergia per ogni istituto di controllo. Sul Fatto di oggi vi abbiamo raccontato come Fratelli d’Italia stia lavorando ad un provvedimento per limitare i poteri della Corte dei Conti. La maggioranza vorrebbe stringere al minimo il controllo “successivo” dei giudici contabili: le toghe potranno bocciare un atto amministrativo o un’opera pubblica prima del via libera; ma dopo la firma del sindaco o del funzionario, i controlli sull’esecuzione del progetto si ridurrebbero al lumicino. Il danno erariale si potrebbe contestare solo in caso di “dolo”, non per colpa o colpa grave. L’idea di Meloni è rassicurare gli amministratori locali alle prese con l’attuazione del Pnrr: quasi 200 miliardi da spendere in migliaia di rivoli di opere pubbliche. Ma il rischio, paventato da autorevoli magistrati, è dare la stura a sprechi, corruttele o (nel peggiore dei casi) alla criminalità organizzata. Il fronte del governo non è solo con la Corte dei Conti: il ddl Nordio in discussione al Senato prevede l’abolizione dell’abuso d’ufficio. Sul Fatto di domani vi racconteremo l’ultimo capitolo della battaglia di Meloni per superare i lacci e lacciuoli dei poteri di controllo.
VALDITARA BIFRONTE: PRIMA NOMINA PAOLA CONCIA PER L’EDUCAZIONE ALLE RELAZIONI, POI LA SILURA. Indietro tutta sull’educazione alle relazioni per gli studenti. Il progetto è confermato, ma il ministro della Lega, Valditara, andrà avanti senza le garanti appena nominate: Paola Concia, suor Monia Alfieri e Paola Zerman. A scatenare il putiferio era stata la scelta della ex parlamentare dem, attivista per i diritti Lgbtqi+ . Tanto che a invocare le dimissioni del ministro del Carroccio, erano stati i suoi colleghi di partito. Valditara aveva annunciato pubblicamente la collaborazione con Paola Concia il 7 dicembre, giovedì scorso, durante la sua audizione alla Commissione sui femminicidi. Era stato convocato per spiegare il ruolo del suo consulente Alessandro Amadori. Per fugare ogni dubbio, aveva annunciato il compito affidato alla ex dem: “Il progetto sarà guidato da tre donne. Una è Paola Concia che ci ha lavorato dall’inizio e ora ha accettato di esporsi pubblicamente”. Per i colleghi di maggioranza, una toppa peggiore del buco. Così, da destra, si è scatenato il tiro al bersaglio. Il consigliere regionale romagnolo della Lega, Matteo Montevecchi, ha chiesto la testa del ministro, colpevole di aver “dimostrato platealmente un gigantesco complesso di inferiorità culturale”. Dure critiche anche da Fratelli d’Italia. Così, dopo nemmeno 48 ore, il ministro dell’Istruzione ha dovuto ingranare la retromarcia revocando la nomina delle tre garanti. Al fianco di Concia, Valditara aveva voluto suor Monia Alfieri e Paola Zerman: la prima è stata tra le grandi oppositrici del ddl Zan; la seconda è stata candidata nel 2018 per il Popolo della famiglia, partito fondato da Mario Adinolfi e ispirato all’esperienza del Family Day. Al fianco della libertaria Concia, insomma, due profili saldamente conservatori. Non è bastato, neppure per gli alleati di governo. Sul Fatto di domani vi racconteremo i retroscena sul siluramento di Concia.
IL GOVERNO BASTONA L’ENERGIA GREEN. La Cop28 è ancora in corso a Dubai, e si concluderà il 12 dicembre. I governi discutono di come porre un freno alla distruzione del pianeta, come incentivare la protezione dell’ambiente e mettere da parte le fonti inquinanti. Anche l’Italia partecipa alla conferenza di Dubai, ma poi, in casa, punisce le fonti rinnovabili sia nel DL Energia che nella manovra. Il governo ha introdotto una sorta di mini patrimoniale, 10 euro per ogni chilowatt di potenza dell’impianto, per i primi tre anni. In teoria, dovrebbe trattarsi di somme destinate ad un fondo da ripartire tra le regioni, per l’adozione di misure per la decarbonizzazione e la promozione dello sviluppo sostenibile del territorio. Non solo; c’è la stangata della tassazione fino al 43% sul “diritto di superficie”, lo strumento giuridico più utilizzato nei rapporti tra i proprietari terrieri e le aziende che realizzano impianti di energia da fonti rinnovabili. Insomma, il DL Energia doveva sulla carta incentivare il fotovoltaico, ma a ben guardare, lo bastona. Sul Fatto di domani leggerete altri particolari sul tema del rapporto poco chiaro tra il governo Meloni e le rinnovabili.
MEDIO ORIENTE, ISRAELE ACCUSA HAMAS: “SPARA DA ZONE UMANITARIE”. SONDAGGI, PER 7 CITTADINI SU 10 NETANYAHU SI DEVE DIMETTERE. Sono trascorsi 64 giorni dal massacro del 7 ottobre firmato da Hamas, con 1.200 morti e 237 ostaggi – 103 rilasciati in seguito allo scambio con il triplo di detenuti palestinesi – e la battaglia nella Striscia di Gaza è sempre cruenta, sia a nord che a sud. Lo Stato Ebraico accusa ancora i fondamentalisti di utilizzare zone umanitarie, come scuole e ospedali, per lanciare i razzi verso Israele. Nello specifico, gli ordigni oggi sarebbero stati sparati da dove si ammassano gli sfollati, nell’area di Muwasi, vicino Rafah. In alcuni casi i razzi, difettosi, sono caduti dentro la Striscia. Per corroborare le accuse verso Hamas, l’Idf ha denunciato di aver trovato armi nascoste tra pupazzi e giochi per bambini. Lo scontro, stavolta politico, prosegue pure all’Onu, dopo che gli Stati Uniti hanno messo il veto alla risoluzione per un “cessato il fuoco” immediato, che avrebbe agevolato – secondo gli Usa – gli estremisti islamici. Il presidente turco Erdogan, ha criticato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite definendolo il “Consiglio di protezione israeliano”. Il leader difende Hamas ed ha minacciato Israele di non colpire i suoi dirigenti in territorio turco. Restano aperti anche gli altri fronti: il confine con il Libano, la Cisgiordania, e i raid dei jet di Tel Aviv sulla Siria per distruggere i depositi di armi di Hezbollah, la milizia filo iraniana. Non meno attivo è il fronte interno: a due mesi dall’inizio della guerra, sette israeliani su dieci ritengono che il premier Benjamin Netanyahu dovrebbe rassegnare le dimissioni, secondo un sondaggio condotto da Canale 13; il 31% vorrebbe che si dimettesse subito, il 41% pensa che dovrebbe lasciare l’incarico alla fine dei combattimenti. Tuttavia Netanyahu può ancora trovare conforto nei sostenitori del Likud; il 70% ritiene che debba restare in carica. Sul Fatto di domani leggerete altri particolari sulla giornata, e un articolo sul commercio bellico americano in favore di Israele.
LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE
Incendio nell’ospedale di Tivoli: 4 anziani morti, evacuate 200 persone. È il tragico bilancio del rogo divampato ieri sera nell’ospedale San Giovanni Evangelista, alle porte di Roma. Le fiamme sarebbero partite dall’esterno della struttura, arrivando nelle aree del Pronto soccorso, con il fumo che ha invaso il nosocomio. Le vittime sono due donne (di 84 e 86 anni) e due uomini (di 76 e di 86 anni): già disposta l’autopsia. I 69 ricoverati gravi, intossicati, sono stati smistati negli ospedali di Roma e provincia. La Procura di Tivoli indaga a carico di ignoti per omicidio colposo plurimo e incendio colposo. In mattinata il rogo è stato domato.
Assisi, domani la marcia per la pace. Partirà alle 14,30, da Santa Maria degli Angeli e si snoderà per tre chilometri la marcia per chiedere la fine del conflitto nella Striscia di Gaza. L’iniziativa si svolge in occasione del 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani. Tra i partecipanti, don Luigi Ciotti, padre Zanotelli, Maurizio Landini, rappresentanze di Arci e Anpi.
Iran, vietato ai parenti di Mahsa Amini di ritirare il Premio Sakharov. Non potranno andare a Parigi per ritirare il Premio Sakharov i genitori e il fratello di Mahsa Amini, la ragazza curda-iraniana morta ad appena 22 anni, l’anno scorso, mentre era sotto la custodia della polizia morale per avere indossato il velo non correttamente. La notizia è stata confermata dall’avvocato della famiglia in Francia: “I parenti di Mahsa avevano il visto ma i loro passaporti sono stati confiscati”. Altra storia di repressione è quella di Narges Mohammadi, che inizierà un nuovo sciopero della fame domani, in occasione della cerimonia ad Oslo per la consegna del Nobel per la pace; l’attivista che è in carcere per aver contrastato la repressione degli ayatollah, sarà rappresentata dai suoi figli. Mohammadi si è esposta pubblicamente contro l’obbligo del hijab e la pena di morte.
Guatemala, il fantasma del golpe. Per il procuratore della Repubblica, Rafael Curruchiche, le elezioni presidenziali, vinte da Bernardo Arévalo il 20 agosto, devono essere annullate. Di contro, il Tribunale Supremo Elettorale ha ribadito la legittimità del voto invitando gli eletti a “prendere i loro posti il 14 gennaio, altrimenti si verificherebbe una rottura dell’ordine costituzionale”. Secondo la segreteria dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), sarebbe in atto un “tentativo di colpo di stato da parte della Procura del Guatemala”. Condanna dell’Ue, Onu “preoccupata”.
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