Prosegue l’appuntamento con la newsletter Il Fatto Economico. Questa settimana, nel nostro inserto, Marco Palombi si occupa di quello che sarà un vero e proprio scippo ai danni dei contribuenti. Meloni riaprirà per sei mesi il silenzio-assenso per aderire alla previdenza complementare, destinando ai fondi il proprio Tfr: finora, però, solo il 22% è stato attirato delle liquidazioni maturate dal 2007 (97 miliardi).
Roberto Rotunno ci dà conto di un’altra fregatura: per chi lascerà il lavoro a partire da gennaio 2025, l’assegno sarà più basso, con un calo che potrà arrivare fino a un massimo del 2,18% rispetto a chi è andato in pensione in questi ultimi due anni. Parliamo di diverse centinaia di euro all’anno in meno.
La priorità per il governo è sempre la stessa: fare cassa in vista delle coperture per la manovra. Tra le categorie usate come bancomat, ci spiega Patrizia De Rubertis, stavolta ci sono anche i pensionati che vivono all’estero. È tutto contenuto nell’articolo 27 della Legge di Bilancio: non si consentirà la rivalutazione automatica (parziale peraltro) dei trattamenti pensionistici che serve a farle aumentare per compensare il crescente costo della vita.
Lunedì scorso, in questo inserto, Giuliano Garavini aveva individuato l’inizio della deflazione salariale nell’accordo sul costo del lavoro del 31 luglio del 1992. Oggi gli replica Francesco Sinopoli, presidente della Fondazione Di Vittorio, secondo il quale è vero che il ’92 costituì una sconfitta, ma la deflazione ebbe il via dieci anni prima.
Lucio Baccaro si chiede dunque, visto l’andamento dei salari, “come tornare a crescere” e individua una soluzione “populista”: la strategia della crescita tirata dai salari (CTS), che mette al centro il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e la domanda interna come motori dello sviluppo economico.
Infine l’ex presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ci racconta attraverso un libro l’eredità imprevista di Matteotti.
Buona lettura.
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