Prosegue l’appuntamento con la newsletter Il Fatto Economico. Oltre agli articoli del nostro inserto, questa settimana, con un articolo del Financial Times, ricostruiamo la storia di Occupy Wall Street a 10 anni dalla sua nascita. È opinione comune dire che sia stato un fallimento; in realtà, spiega Darren Loucaides, con la sua particolare forma di organizzazione quel movimento ha segnato in maniera indelebile le forme di protesta nelle democrazie avanzate. E ha ancora molto da dire, soprattutto dopo la fine della pandemia. Nella rubrica cripto della settimana, Nicola Borzi ci racconta del primo caso di insider trading che riguarda il mercato degli Nft, un settore dove regna il Far West.
Buona lettura.
FT. Occupy Wall Street 10 anni dopo: cosa resta del movimento del “99 per cento”
di Darren Loucaides
È il 24 settembre 2011, a New York è mezzogiorno. Un giovane nero di nome Robert Stephens si butta in ginocchio in mezzo alla strada, davanti alla sede della Chase Bank in Liberty Street. Ha una felpa bianca e occhiali con la montatura nera. Indicando l’edificio della Chase grida: “Quella è la banca che si è presa la casa dei miei genitori”.
Come molti, dopo la crisi finanziaria del 2007-2008 la famiglia di Stephens aveva perso la casa per colpa di una banca. Mentre lui continua a gridare dal marciapiede, gli agenti di polizia lo circondano. Urla e piange: “non mi muovo. Non starò zitto!”.
Quella mattina Stephens si era unito al corteo partito dall’accampamento di Occupy Wall Street, nato una settimana prima a Zuccotti Park, non lontano dalla Borsa di New York. Per strada i manifestanti intonavano slogan come “Loro sono stati salvati, noi siamo stati venduti”.
Nella visione comune appare come un fallimento, una nota a piè di pagina della Storia, che sarà ricordata solo per il suo slogan più famoso. Ma guardando più da vicino quella stagione si scopre che la rabbia che esprimeva continua a risuonare ancora oggi, e potrebbe riesplodere dopo la pandemia.
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