Prosegue l’appuntamento con la newsletter Il Fatto Economico. Questa settimana, oltre agli articoli del nostro inserto, un’analisi del Financial Times su ciò che non funziona nel dibattito pubblico sul riscaldamento climatico. Ad esempio, concentrarsi sulle statistiche a scapito delle conseguenze reali e tangibili delle temperature bollenti. Oppure guardare in avanti, ai possibili disastri futuri, dimenticandosi i drammi di oggi.
Buona lettura
FT: Cosa sbagliamo quando parliamo di cambiamento climatico
di John Burn-Murdoch
Tre anni fa ho trascorso un Capodanno che non dimenticherò mai, e non per la festa o per i fuochi d’artificio, ma perché sono rimasto bloccato in una minuscola cittadina balneare australiana con l’unica strada per uscire interrotta da un incendio in rapido avvicinamento. Ricordo che tutto era ricoperto da un sottile strato di cenere, e già alle tre del pomeriggio il cielo era scuro come la notte. Con un po’ di fortuna e grazie ai vigili del fuoco del Nuovo Galles del Sud il giorno dopo ne siamo usciti indenni.
Questa storia offre lo spunto per due riflessioni. La stagione del 2019-20 in Australia caratterizzata da una quantità record di incendi è stata favorita da una lunga fase di aumento delle temperature e del clima secco nella regione, dovuto al riscaldamento climatico. In secondo luogo, la mia esperienza insegna che gli incendi non fanno parte dell’habitat umano, né tantomeno periodi prolungati di temperature prossime ai 40°C. Tuttavia, negli ultimi anni entrambi questi fenomeni sono diventati comuni in zone molto popolose dell’Asia, dell’Europa meridionale e degli Stati Uniti meridionali.
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