Prosegue l’appuntamento con la newsletter Il Fatto Economico. Oltre agli articoli del nostro inserto, questa settimana con la traduzione del Financial Times sveliamo la strategia delle grandi compagnie petrolifere che con la scusa del green sono riuscite a farsi finanziare negli Usa impianti di cattura di carbonio, di dubbia efficacia e altissimi costi. In ambito cripto, invece, Virginia Della Sala, ci parla dell’iniziativa europea per arginare il consumo di energia delle criptovalute. In un periodo di crisi dovuta alla guerra, anche i minatori devono adeguarsi.
Buona lettura
FT: greenwashing e fondi pubblici, il grande affare di Big Oil per la cattura di CO2
di Justin Jacobs
Il canale di Houston, lungo la costa del Golfo in Texas, è una sorta di stazione di servizio dell’economia navale globale. Le navi cisterna entrano nel canale e si fermano in una delle oltre 200 raffinerie di petrolio, impianti chimici e depositi di carburante disposti lungo il percorso, riempiono il carico e poi lo trasportano in giro per il mondo, dove la richiesta di idrocarburi continua a crescere.
Le raffinerie del canale di Huston emettono decine di milioni di tonnellate di CO₂ ogni anno, creando una delle maggiori concentrazioni di emissioni di gas serra d’America. La ExxonMobil, la più grande delle sette sorelle del petrolio, ora sostiene di avere una soluzione al problema. Non si tratta di pannelli solari o pale eoliche. Al contrario, l’idea, che vale 100 miliardi di dollari, non intacca il flusso di idrocarburi ma propone di catturare l’anidride carbonica emessa dagli impianti per immagazzinarla nel fondale marino del Golfo del Messico, attraverso una complessa rete di condutture. Il piano è sostenuto dagli altri colossi petroliferi e industriali dell’area: Shell, Chevron, Dow Chemical, Ineos.
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