Prosegue l’appuntamento con la newsletter Il Fatto Economico. Questa settimana quattro articoli del nostro inserto presentano in esclusiva l’inchiesta del consorzio internazionale Investigative Europe sulla lobby dei pesticidi europea. Nella versione digitale, i pezzi sono corredati da reportage video girati sul campo.
La consueta analisi tradotta dal Financial Times tratta invece di pornografia online: in quanti sanno che i veri censori dei contenuti per adulti non sono né i governi né le società di settore, ma le due principali società di carte di credito? Infine, per la rubrica cripto della settimana, Virginia Della Sala ha letto gli ultimi dati sui consumi elettrici dovuti al mining dei Bitcoin, che con il crollo dei prezzi sembra aver messo i remi in barca.
Buona lettura
FT: Visa e Mastercard: i grandi “moralizzatori” del porno
di Patricia Nilsson e Alex Barker
Tutto è iniziato un sabato mattina di dicembre 2020. Bill Ackman, miliardario 56 enne fondatore di Pershing Square Capital Management, era a casa sua, negli Hamptons, e ammazzava il tempo leggendo sul cellulare. Un articolo del New York Times attirò subito la sua attenzione e lo fece infuriare. Lo lesse una seconda volta, poi riversò la sua indignazione su Twitter. È così che Ackman diede il via alla caduta del sito porno più famoso d’America. La Pershing Square Capital Management è fondo attivista con cui Ackman acquista partecipazioni in società quotate in borsa per spingerle a modificare le loro pratiche commerciali o, quantomeno, ad aumentare il prezzo delle loro azioni. Prima della pandemia, Ackman era noto più che altro per la sua battaglia donchisciottesca contro Herbalife, famosa società di integratori accusata di essere uno schema piramidale occulto. La battaglia non ebbe molto successo e il fondo Pershing perse quasi mezzo miliardo di dollari nell’operazione. Nel 2020, però, il finanziere è tornato a far parlare di sé a Wall Street quando ha trasformato una scommessa da 27 milioni di dollari sull’incertezza da Covid in 2,6 miliardi di dollari di guadagno, in un mese.
Quell’articolo del New York Times aveva dato ad Ackman un nuovo bersaglio: Pornhub, il sito web più visitato della più grande azienda porno del mondo, MindGeek. Nicholas Kristof, infatti, aveva firmato un reportage con testimonianze di vittime di video rubati, spy-cam e revenge porn e sosteneva che il sito fosse “infestato da video di stupro”, da cui la società madre traeva profitto. Pornhub in seguito ha negato le accuse e insistito sul fatto che la sua piattaforma di moderazione dei contenuti è migliore di quella della maggior parte dei social media. Se oggi gli si chiede perché ha scelto di prendere pubblicamente posizione sull’argomento, Ackman risponde che non ha nulla contro il porno in sé, ma che quei “racconti terribili di sfruttamento hanno toccato un nervo scoperto. Il problema di questo argomento è che la gente non vuole parlarne”.
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