Prosegue l’appuntamento con la newsletter Il Fatto Economico. Oltre ai contenuti del nostro inserto, questa settimana con un articolo tradotto dal Financial Times mettiamo la lente sul drastico calo degli investimenti pubblicitari nei social network, stilando una lista dei responsabili.
Buona lettura
FT: la pubblicità sui social media è morta, chi l’ha uccisa?
di Alex Barker, Tim Bradshaw e Alistair Gray
L’epoca d’oro della della pubblicità sui social è finita, bruscamente. Lo hanno riconosciuto sia Mark Zuckerberg, patron di Meta, che Sundar Pichai, ad di Alphabet: entrambi hanno parlato di inequivocabili nubi di tempesta che si addensano sull’economia globale. Dove, però, i segnali di fragilità più evidenti si concentrano proprio sulle piattaforme dei social media.
Chi sono i responsabili di questa brusca frenata? Nella Silicon Valley è iniziato lo scaricabarile. Gli inserzionisti statunitensi quest’anno si sono detti pronti a spendere su piattaforme come Facebook, Snap (ex Snapchat) e Twitter circa 65,3 miliardi di dollari. L’incremento di spesa è di appena il 3,6% rispetto all’anno precedente e secondo le stime di eMarketer è circa 10 volte inferiore all’incremento che si è registrato tra il 2021 e il 2020. Ormai, il tasso di crescita previsto degli investimenti per il 2022 nel settore è quasi uguale a quello dei media tradizionali, come la televisione e la radio, che vengono da anni di calo del pubblico. Anche per questo i grandi gruppi di agenzie pubblicitarie evitano le turbolenze del digitale: WPP, Omnicom, Publicis e Interpublic, per esempio, hanno pubblicato previsioni positive per l’anno in corso. “Snap ha ammesso la recessione pubblicitaria nel primo trimestre. Ora stiamo aspettando di vederne gli effetti”, dichiara Mark Read, amministratore delegato di WPP.
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