Sul Fatto di domani cercheremo di tracciare una mappa delle disposizioni regionali e comunali per fronteggiare l’aumento di contagi da coronavirus. Osservate speciali ancora la Lombardia, dove Salvini ha tentato di condizionare le decisioni del governatore Fontana, il Veneto e la Campania. Oggi il premier Conte ha riferito in Senato sull’ultimo Dpcm, ma gli stessi palazzi della politica si sono trasformati in luoghi di mancato tracciamento.
Il nostro Focus sarà sullo smart working: il decreto della ministra Dadone riguarda il 50% dei lavoratori della Pubblica amministrazione che possono lavorare da casa. Pubblicheremo anche uno stralcio del nuovo libro di Domenico De Masi proprio sull’argomento (di seguito ne trovate un’anticipazione).
Nelle pagine della Politica leggeremo della bocciatura europea dei ricorsi dei parlamentari italiani contro il taglio dei vitalizi. La Cronaca si occuperà invece delle carte dell’inchiesta sulla “dama del cardinale Becciu” e del riesame per i due “uomini di partito” della Lega finiti ai domiciliari, Di Rubba e Manzoni.
Gli Esteri ci racconteranno di come sia finta la pace in Afghanistan, dove invece continuano gli attentati e gli scontri.
Nella sezione Radar, il Papa che apre alle unioni civili delle coppie gay e una lettura di Barbara Spinelli sui Paesi del sud Europa, che necessitano di una maggiore quantità di denaro a fondo perduto.
Infine il Secondo Tempo, che ci farà scoprire perché gli scienziati sono diventati i nuovi bestselleristi, e l’anticipazione del nuovo “Borat”.
La curva del contagio impenna nuovamente. Sono 15.199 i nuovi casi di positività al coronavirus nelle ultime 24 ore, a fronte di 177.848 tamponi effettuati. Le vittime sono 127. Oltre 4mila casi in Lombardia, si registra un aumento record in Piemonte con 1.799 nuovi casi. Cresce la Campania, con 1.760 positivi, e anche il Lazio con 1.219 casi. Triplicano i contagi del Veneto che fa segnare un aumento di 1.422 positivi. In salita anche i ricoveri in Italia. Il Comitato tecnico scientifico: “Non abbiamo fatto tutto quello che avremmo dovuto”. In Lombardia parte il coprifuoco.
Milioni di lavoratori in smart working, il grande esperimento
di Domenico De Masi
Tra il 28 febbraio e il 31 agosto 2020, senza nessuna intenzione e preparazione, è stato realizzato in Italia il più grande esperimento organizzativo mai tentato nella storia del paese. Tutti insieme milioni di lavoratori – impiegati, funzionari, manager, dirigenti e imprenditori – hanno improvvisamente smesso di lavorare in ufficio, come facevano da secoli, e hanno cominciato a lavorare da casa. Stessa cosa è accaduto nel resto del mondo e più o meno nello stesso arco di tempo, a tre miliardi di colletti bianchi.
In tutta la storia delle scienze organizzative l’unica rivoluzione paragonabile a questa è avvenuta in America all’inizio del Novecento ma, per estendersi da Detroit e da Filadelfia su tutto il pianeta, ha impiegato parecchi decenni. Inoltre, quella rivoluzione riguardava i colletti blu; questa riguarda i colletti bianchi. In entrambi i casi l’innovazione non è salita dal basso ma è calata dall’alto; in entrambi i casi è stata opera di ingegneri, non di sociologi o di politici: allora si trattò di ingegneri metalmeccanici; questa volta si è trattato di ingegneri elettronici. Come, aprendo la cassa di un orologio, si possono vedere i minimi meccanismi e movimenti che essa cela, così il grande esperimento ci ha improvvisamente esibito gli stati d’animo, il livello di professionalità, il grado di predisposizione al cambiamento degli impiegati, dei manager, delle aziende, dei sindacati, degli studiosi, degli intellettuali. Prima che il grande esperimento iniziasse, il mondo del lavoro italiano aveva già metabolizzato, quasi senza accorgersene, alcune certezze. Una di queste era che ormai negli uffici si lavorava sempre meno con persone vicine di scrivania o di corridoio, e sempre più con interlocutori che potevano essere fisicamente dislocati ovunque. Tra gli impiegati, senza che nessuno lo avesse deciso, vigeva la cosidetta “regola dei 15 metri” per cui, se una persona lavorava a una certa distanza dal suo collega, finiva per comunicare con lui tramite e-mail, piuttosto che a voce. A questo punto non vi era nessuna differenza tra lavorare entrambi in ufficio, a pochi metri di distanza fisica, o lavorare entrambi lontano dall’ufficio, fosse pure ai punti opposti del pianeta.
Un’altra certezza di dominio pubblico era che, per la diffusione dello smart working, si trattava solo di una questione di tempo. Chi è nato nello stesso anno di Facebook, cioè nel 2004, fra dieci anni ne avrà ventisei; chi è nato con Instagram, cioè nel 2010, ne avrà venti. In altri termini, fra dieci anni tutti gli italiani in età lavorativa saranno digitali e, salvo in caso di mansioni non lavorabili a distanza, nessuno di loro accetterà di lavorare per un’azienda se questa azienda non gli assicura lo smart working.
Un’altra certezza evidente a tutti, consisteva nella constatazione che, a prescindere che lo chiamassero telelavoro o smart working, già prima del lockdown quasi tutti i colletti bianchi ormai lo praticavano a livello informale nei treni, nelle stazioni, nei bar, nei ristoranti, anche se l’azienda lo riconosceva a livello contrattuale. (continua a leggere nel giornale di domani)
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