Coraggio, imprudenza, semplice follia o genio? Diversamente da quel che accade per il mercato editoriale statunitense, in Italia i grandi tomi quasi sempre spaventano i lettori. Vengono comperati ed esibiti, difficilmente letti. Eppure il nuovo romanzo di Edoardo Albinati, La scuola cattolica (Rizzoli) è stato accolto con grande favore dalla critica e alla luce dell’annuncio con cui Feltrinelli ed Einaudi si sono chiamati fuori dalla competizione per il prossimo Premio Strega, se otterrà la candidatura, sarà questo – almeno sulla carta – il libro favorito dai pronostici. Soprattutto perché le sue 1.300 pagine totali filano via come fosse un page-turner made in Usa. E non è poco.
Altro elemento in controtendenza che gioca a favore di questo romanzo è il recupero della maturazione del tempo di scrittura. Lo scorso anno in Italia sono state pubblicate oltre 60mila novità – a fronte di risibili dati di lettura; Albinati, invece, ha lavorato ben nove anni per portare a termine questo romanzo-mondo, con l’intento di raccontare la generazione romana nata fra il ’56 e il ’60 che sarebbe stata protagonista dei tumultuosi anni Settanta, ricchi di sconvolgimenti culturali, con debordanti lati oscuri da tramandare ai posteri.
La forza narrativa sta nell’aver scelto una prosa piana, discorsiva, dialogando con il lettore, prendendo tempo, aprendo parentesi temporali, accennando cosa racconterà nei capitoli futuri, aggiungendo con paziente meticolosità tutti gli elementi necessari per la comprensione, non di un singolo fatto ma di uno scorcio temporale. E dopo averci attirato dentro il libro con una carrellata di personaggi e aneddoti, Albinati cambia passo e mette a fuoco il suo obiettivo: raccontare il delitto del Circeo del 29 settembre 1975, tentando di chiudere per sempre quella truce pagina di cronaca nera che sconvolse Roma con la brutalizzazione, lo stupro e il massacro di Donatella Colasanti (17 anni) e Rosaria Lopez (19 anni, uccisa per annegamento nella vasca da bagno).
Del resto, Albinati – sceneggiatore, traduttore e già autore di diversi romanzi, fra cui Maggio Selvaggio, in cui racconta la sua esperienza di insegnante nel penitenziario di Rebibbia – ha frequentato il San Leone Magno del quartiere Trieste di Roma, lo stesso liceo dei tre carnefici del Circeo – Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido – e proprio su questo elemento comune ruota l’intera trama, dando conto di un preciso momento storico, d’una mutazione della società romana e italiana, dell’incrocio di destini e alterne fortune nel medesimo istituto cattolico capitolino.
Grazie ad un registro narrativo composito, Albinati si avvicina per cerchi concentrici, narrando l’evoluzione negli anni dei suoi personaggi, l’ossessione per una sessualità acerba, schiacciata dai rituali di preghiera, dal senso di colpa inoculato quotidianamente, dalla brutale tirannia dello sport sui corpi glabri.
Un romanzo-mondo che probabilmente scoraggerà molti, mediante il quale Albinati offre al lettore la chiave per comprendere la giovinezza e l’aggressività repressa di quella borghesia romana, abbagliata dalla cruda violenza, che ruotava attorno al San Leone Magno del quartiere Trieste.