Quindi è la Festa della mamma, che va da sé è una festa commerciale e tutti i bla bla di rigore (non comprate fiori o regali, abbracciate la vostra mamma). Non possono mancare nemmeno le vaccate: in una scuola elementare di Torino si festeggia la “Festa di chi ti vuole bene”. Le maestre della prima avrebbero accolto la richiesta di alcuni genitori per non far sentire diversi i figli delle famiglie non tradizionali. Come se in tutti gli altri giorni i bambini negassero di avere una mamma, se ne dimenticassero e parlassero con i loro compagni in modo asettico, per non turbare nessuno: “Vuoi venire a giocare da me? Viene a prendermi il genitore1”. Ovviamente non tutte le famiglie hanno gradito il nuovo nome della Festa, specie alcune mamme che si sono sentite un po’ defraudate del ruolo. E con il mazzo che si fanno, in effetti, è una reazione comprensibile.
Sciocchezze a parte, ieri la Fondazione studi consulenti del Lavoro ha diffuso alcuni dati secondo i quali c’è veramente poco da festeggiare. Su 10 persone inattive – che non lavorano né cercano lavoro – tra 25 e 54 anni, quasi quattro sono mamme. Lo scenario italiano, ricorda lo studio, è già di per sé sfavorevole per chi nasce donna: i dati Eurostat ci posizionano all’ultimo posto in Europa con il 54% del tasso di attività, col differenziale più alto fra maschi e femmine (-20%). Il 73,8% degli inattivi (sostanzialmente 3 su 4), quindi, è di sesso femminile e i due terzi sono mamme. E ancora: sul totale degli inattivi, la quota delle donne tra i 25 e i 54 anni è del 28,7% ma sale al 37,5% considerando solo le mamme. Al Sud le cose vanno peggio: la percentuale di mamme inattive è al 56,7%.
L’Istat ha chiesto, con un questionario, conto alle mamme delle ragioni: il 47,6% dichiara di essere inattiva per motivi familiari. Se ci sono bimbi piccoli, la quota aumenta al 53,4%. Nel part-time: il 7,5% è uomo contro il 33% delle donne. Fra queste, le mamme occupate part-time raggiungono la quota del 37%. Sempre a causa dei motivi familiari: il 43,9% per le mamme che hanno figli minori, contro il 15,6% di quelle che hanno ragazzi ormai grandi. Ma forse non è solo questione di ruoli. Forse conviene che siano gli uomini a lavorare? Uno dice com’è possibile? Secondo il Global Gender Gap Report del World Economic Forum di Ginevra nel 2015 eravamo fermi al 71esimo posto su 136 Paesi per quanto riguarda le pari opportunità in generale. L’elemento più sconcertante è la disparità salariale: una donna italiana in media guadagna 0,47 centesimi per ogni euro guadagnato da un uomo. E qui scivoliamo ancora più in basso nella classifica: siamo 124esimi, al di sotto della media mondiale. Siamo al 65 posto per quanto riguarda la scolarizzazione, 72esimi per la salute, 44esimi per l’accesso al potere politico e al 97esimi per la partecipazione alla vita economica.
Questa sì che è una discriminazione. Ed è veramente incredibile che troviamo il tempo per pensare alla “Festa di chi ti vuole bene” e non per occuparci del fatto che le donne sono sottoccupate e sottopagate (caso mai dovrebbe essere il contrario, vista l’insostituibile funzione che svolgono nella società: e non solo per questioni riproduttive). E dire che nel 2013 le donne in Parlamento sono passate dal 22% della precedente legislatura al 31%.
Deputate e senatrici, ma che aspettate, l’arrotino? La legge di riforma costituzionale firmata dalla ministra Boschi dice al nuovo articolo 55 che “le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza”. Bisognerebbe fare in modo che sanare le discriminazioni, principio sacrosanto, trovasse qualche ragione di esistenza: la parità solo in Parlamento è un po’ pochino.