Il duro intervento del cardinal Bagnasco contro la legge Cirinnà consente di chiarire alcuni equivoci ancora purtroppo presenti nel dibattito pubblico. Il primo equivoco suona così: la Chiesa si è ormai rassegnata a che vengano riconosciuti alcuni diritti delle coppie omosessuali; le gerarchie possono considerarsi soddisfatte di aver ottenuto dal Parlamento lo stralcio della stepchild adoption. Ora abbiamo la conferma che questa lettura della situazione è errata: le gerarchie cattoliche sono e rimangono i campioni della resistenza alla modernità e alla democrazia, i nemici di qualsiasi ampliamento egualitario dei diritti civili. Nella giornata dedicata alla lotta contro l’omofobia, il presidente della Cei ha ribadito che, per la sua organizzazione, l’amore tra due persone dello stesso sesso vale di meno, che le coppie omosessuali non dovrebbero essere equiparate alle altre e meritano la condanna a vivere in clandestinità e senza alcuna tutela. Lo stralcio delle adozioni non ha diminuito la sua rabbia feroce contro la legge.
Il secondo equivoco si può descrivere così: con il papato di Francesco è cambiato tutto, le gerarchie hanno compreso che è finita la stagione della loro ingerenza negli affari pubblici; d’ora in poi, preti e vescovi si dedicheranno solo all’evangelizzazione e all’attività missionaria. Le parole di Bagnasco seppelliscono anche questa convinzione (o speranza). Lungo l’itinerario di discussione e approvazione della legge, le gerarchie cattoliche si sono comportate esattamente come avrebbero fatto all’epoca di Wojtyla e Ratzinger.
Nel rapporto tra la Chiesa, la società e la politica italiana non è cambiato, da parte cattolica, assolutamente nulla. I discorsi, i gesti e le azioni di Bagnasco sono stati perfettamente sovrapponibili a quelli del Ruini di un tempo. E quella dell’attuale capo della Cei non è certo una posizione isolata, perché in questi mesi tra i gerarchi non si è alzata contro la linea dura di Bagnasco una sola voce dissenziente. Al contrario, numerose sono state, anche tra le fila dei vescovi considerati più vicini al Papa, le adesioni alle mobilitazioni contro i diritti degli omosessuali.
Non c’è quindi ragione di pensare che lo stesso pontefice sia in dissenso dal capo dei nostri vescovi. A questo proposito, Bagnasco ha correttamente riportato nel suo discorso molte affermazioni del Papa a difesa della famiglia tradizionale. “Non si comprende come queste affermazioni, tanto chiare di Papa Francesco – ha detto il cardinale – passino costantemente sotto silenzio, come se mai fossero state pronunciate o scritte”. Solo chi non conosce come funziona la Chiesa può pensare che Bagnasco possa pronunciare una frase del genere senza il consenso del Papa.
Se è vero che questi temi non sono in cima ai pensieri del pontefice, è altrettanto certo che egli non ha nessuna intenzione, nel merito, di promuovere alcun cambiamento nella tradizionale posizione della Chiesa. In particolare, sulla questione omosessuale e guardando ai suoi tre anni di pontificato, possiamo osservare che, a conti fatti, l’unica apertura concreta da parte di Francesco è consistita in quella celebre frase “chi sono io per giudicare?” pronunciata in una conversazione con i giornalisti in aereo. Sull’altro versante si collocano profluvi di documenti e pronunciamenti ufficiali nei quali il papa ha fatto sue le posizioni retrive più consuete, quelle ribadite da Bagnasco. Il papa è misericordioso verso i gay come verso tutti gli esseri umani, ma quando si tratta di diritti non ha una posizione diversa da quella di Ratzinger.
Non resta che sperare nel popolo cattolico: in un suo esodo silenzioso da un’istituzione irriformabile o in una sua improvvisa ed imprevista levata di scudi pubblica contro chi vuole a tutti i costi riportare indietro le lancette della storia e condannare i cattolici al ruolo degli eterni nemici della libertà e della giustizia.